Il paragone
ReArm, il precedente degli Euromissili: quando la deterrenza aiutò il disarmo. E anche Spinelli era d’accordo

Andando indietro nella storia troviamo dei tratti comuni anche quando delle battaglie pacifiste erano protagonisti leader di grande spessore culturale e politico alla guida di grandi partiti. C’è una costante i pacifisti si schierano contro le scelte dell’Occidente, mentre non si accorgono dell’aggressività dei suoi avversari che di solito agiscono per primi, ma che trovano il modo di contestare le ritorsioni del mondo libero sul versante della deterrenza. Emblematico fu il caso dell’installazione degli euromissili, una vicenda andata avanti per una decina di anni e che svolse un ruolo fondamentale nel determinare un cambio di linea di politica estera ed interna dell’Unione sovietica che condusse al primo accordo sul disarmo tra le grandi potenze nel 1987, a dimostrazione che l’equilibrio della deterrenza contribuisce alla pace e al disarmo.
Il paragone
Per onestà, tra il caso degli euromissili e quanto sta avvenendo nel cuore dell’Europa e con riguardo alle decisioni necessarie da assumere vi è una differenza sostanziale. Alla fine degli anni ’70 l’Europa occidentale e gli Usa erano saldamente alleati nella Nato e contrapposti al blocco del Patto di Varsavia. Uno degli argomenti più importanti del dibattito di quei tempi riguardava il riconoscimento comune dell’esistenza di un equilibrio nucleare planetario che – secondo l’URSS – forniva adeguata copertura anche al disequilibrio venutosi a creare in Europa. Ma allora le Amministrazioni americane non intendevano lasciare gli alleati occidentali in condizioni di insicurezza. E non mandavano il conto dei missili.
Le alleanze messe in dubbio
Nel giro dei pochi mesi che ci separano dalle elezioni di Donald Trump le tradizionali alleanze sono state messe in dubbio e l’Europa è finita nel mirino di ambedue le superpotenze. Alla fine degli anni Settanta, l’Urss di Breznev installò nuovi missili a testata nucleare, con una gittata di 5500 chilometri, gli SS 20, tutti puntati verso l’Europa; da lì venne l’idea di rispondere in chiave difensiva con quelli che furono poi chiamati euromissili (Cruise e Pershing). In quel frangente il Cancelliere tedesco, il socialdemocratico Helmut Schmidt dichiarò di essere pronto a procedere, purché almeno un grande Paese continentale fosse della partita. Il 6 dicembre 1979, in Italia, la Camera votò il primo si agli euromissili grazie alla posizione decisiva del Psi, in quel momento fuori dal governo. Sarà poi Craxi da presidente del Consiglio a portare a compimento l’installazione. Le piazze pacifiste, guidate dal Pci di Berlinguer e ben incoraggiate da Mosca, si mobilitarono contro il riarmo al grido di “meglio rossi che morti”.
Il precedente
Nel dibattito alla Camera per il Pci intervenne Enrico Berlinguer, con un discorso ampio e complesso, i cui principali argomenti sono così riassumibili: “La questione è se, al di là di qualsiasi intenzione o dichiarazione di buona volontà, si compiono o no atti che alimentano una ulteriore corsa agli armamenti atomici. Ebbene, non c’è per noi alcun possibile motivo di politica interna che possa persuaderci a condividere una deliberazione che, a nostro avviso, accresce i pericoli di una nuova escalation nucleare”. La sola via – secondo Berlinguer – era quella di sospendere e rinviare la decisione chiedendo contemporaneamente all’Unione Sovietica se fosse disposta, in cambio, all’immediato arresto della fabbricazione e installazione degli SS-20. Le affermazioni più significative le fece Altiero Spinelli, deputato della Sinistra indipendente, che si astenne su ambedue le mozioni, ma con riferimento alla proposta del Pci volle sottolineare che “questo tentativo non può essere fatto altro che in un quadro di decisione politica più generale e non come un’operazione a sé, dopo la quale si dovrebbe ancora vedere cosa fare”.
Il visionario di Ventotene non era ostile alle armi con finalità di deterrenza.
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