Caro direttore,
ho letto con interesse e apprezzato l’ultimo numero del suo giornale per la capacità di affrontare il dibattito sull’antifascismo e il 25 aprile da una prospettiva riformista e progressista ma con un’onestà intellettuale che purtroppo è spesso carente nel dibattito mediatico in cui, con un’opinione pubblica sempre più polarizzata su questi temi, rischia di venir meno una discussione scevra da pregiudizi ideologici che separi i fatti storici dall’attualità.

Se da sempre le celebrazioni del 25 aprile portano con sé polemiche e discussioni, ciò avviene in particolare quando governa il centrodestra. Accadeva durante i governi Berlusconi e accade ancor di più oggi con un governo a trazione conservatrice con le accuse rivolte a Giorgia Meloni e alla destra italiana di “non avere fatto i conti con la storia”.

Il problema è che la destra italiana questi conti li ha fatti, prima accettando i valori e le regole della democrazia, poi con la svolta di Fiuggi che ha segnato una cesura con il passato, infine con il discorso pronunciato alla Camera da Giorgia Meloni nel giorno del suo insediamento come Presidente del Consiglio: “Dunque, a dispetto di quello che strumentalmente si è sostenuto, non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici. Per nessun regime, fascismo compreso. Esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre”.

Parole chiare e inequivocabili. Eppure alla destra italiana si chiede sempre di più, un passo ulteriore, una presa di distanza aggiuntiva, accusandola di non dichiararsi “antifascista”, ma il conservatore per definizione non può essere fascista poiché il conservatorismo è una corrente politico-culturale che si origina secoli prima della nascita del fascismo e i cui valori e riferimenti culturali affondano le proprie radici in un pantheon molto diverso da quello fascista.

Continuare, perciò, a portare avanti l’equiparazione destra-fascismo, oltre a non essere vero, non paga neanche da un punto di vista politico come testimoniano i risultati elettorali del centrosinistra negli ultimi mesi.

L’unica reale conseguenza è avvelenare il dibattito pubblico attualizzando un clima di scontro che sarebbe giusto consegnare alla storia invece di riproporlo con la pericolosa conseguenza di identificare il proprio antagonista politico come un nemico invece che come un avversario.

Il problema è che oggi il termine antifascismo ha assunto una valenza diversa da quella originaria. Quando utilizziamo questa parola dobbiamo fare una distinzione tra due concetti: l’antifascismo storico e quello successivo alla caduta del regime.

Nel dopoguerra l’antifascismo ha infatti assunto una valenza ideologica ed è stato utilizzato, spesso in modo pretestuoso, per attaccare i propri avversari politici dimenticando il suo significato originario.

In nome dell’antifascismo, anche nelle ultime settimane, non sono mancati episodi di intolleranza come le occupazioni delle università, le conferenze interrotte, le manifestazioni violente e, dietro l’espressione “noi pratichiamo l’antifascismo”, oggi si nascondono sovente comportamenti illiberali e antidemocratici.

Inoltre, dal 1945 in avanti, è avvenuto un monopolio della memoria da parte del mondo comunista e del Pci che, anche grazie alla propria straordinaria macchina culturale, è riuscito a far passare il messaggio che la resistenza fu solo rossa.

In realtà, così come durante il fascismo non ci fu solo un antifascismo comunista, allo stesso modo è esistita anche una resistenza cattolica, monarchica, liberale il cui contributo viene nel migliore dei casi ridimensionato e, nel peggiore dei casi, dimenticato.

Più di una quindicina di anni fa ricordo che mio nonno, un maestro elementare di formazione cattolica oggi scomparso, il 25 aprile mi regalò il libro di Edgardo SognoGuerra senza bandiera”. Suo padre Giuseppe Giubilei, tra i fondatori del Partito Popolare con Don Luigi Sturzo in Umbria, fu costretto dai fascisti a dare le dimissioni dal consiglio comunale della sua città, Gualdo Tadino, dopo essere stato minacciato con il manganello e l’olio di ricino.

Per tutto il Ventennio rimase coerente con le proprie idee di antifascista cattolico salvo poi nel 1943, con la caduta di Mussolini, vedere alla ribalta i cosiddetti “antifascisti dell’ultima ora” che fino al giorno prima lodavano il Duce.

In tutta Italia ci furono decine di migliaia di storie come la sua e non mancarono i casi di chi si era davvero opposto al fascismo negli anni del consenso, per citare Renzo De Felice, per venire poi emarginato o marginalizzato nell’Italia democratica.

Se mi si chiede perciò cosa dovrebbe fare o come dovrebbe comportarsi la destra per il 25 aprile la risposta è semplice: ricordare la democrazia e la libertà. Sono questi i valori per cui si è battuta anche la resistenza bianca, liberale, monarchica e gruppi come la brigata ebraica.

Ecco perché la festa della liberazione, più che basarsi su termini in chiave negativa o “anti”, dovrebbe fondarsi su principii espressi in senso positivo e propositivo come la democrazia e la libertà, concetti fondanti della nostra Costituzione.

Francesco Giubilei

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