Ti fideresti di un avvocato che non conosce il concetto di contratto? Oppure di un medico che non conosce il funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio? Ebbene, secondo la mia moderata opinione chi non conosce i concetti di prodotto interno lordo (Pil) e di produttività è indegno di usare la qualifica di economista, e pure quella di giornalista economico.

In breve: il Pil rappresenta il valore totale di tutti i beni e servizi finali prodotti in un certo periodo di tempo in un certo paese, di solito un anno o un trimestre. Chi compra questi beni e servizi? Le famiglie li acquistano per i propri consumi, mentre le imprese acquistano impianti e macchinari per rimpiazzare la propria dotazione oppure per aggiungerne di nuovi. Poiché l’economia è aperta agli scambi con l’estero, le esportazioni si aggiungono alla domanda di produzione nazionale (acquisti fatti dall’estero), mentre bisogna sottrarre il valore delle importazioni, in quanto si tratta di acquisti di beni e servizi prodotti altrove, cioè all’estero. E come conteggiare la spesa pubblica?

È facile il caso dell’acquisto di forniture utilizzabili nel breve termine (le famose “siringhe” dal prezzo selvaggiamente variabile da una regione all’altra) e quello delle infrastrutture pubbliche (strade, ponti, telecomunicazioni) mentre gli stipendi pubblici finiscono anch’essi dentro il lato della domanda perché sono una misura del valore dei servizi pubblici prestati alla cittadinanza (ad esempio: sanità e istruzione) quando non esiste un prezzo volontariamente pagato dai cittadini, ovviamente sostituito dal prelievo coercitivo sotto forma di imposte e tasse.

Se poi si divide il Pil totale per la popolazione si ottiene il Pil pro capite, cioè una misura media della produzione e del reddito. Qui spunta il concetto aggiuntivo di reddito, in quanto è piacevole osservare come per ogni acquisto di beni e servizi corrisponde un ricavo per i soggetti che li vendono, tipicamente imprese che utilizzano questi incassi per pagare dipendenti, fornitori, banche creditrici e azionisti. E chi compra la produzione nazionale?

A parte gli scambi con l’estero, il concetto grandioso è quello di “circuito del reddito”: le imprese che vendono con successo beni e servizi danno un reddito a lavoratori e capitalisti, il quale viene utilizzato da costoro per comprare beni e servizi finali, in un circolo virtuoso che diventa più ampio in termini assoluti se il Pil totale cresce, e in termini medi se il Pil pro capite cresce. Qui introduco il concetto di produttività, in quanto essa misura quanto –grazie a tecnologia, capitale umano, impianti e macchinari – in media il singolo cittadino (o lavoratore) è in grado di produrre.

Grazie alla sequenza di rivoluzioni industriali, il benessere medio degli esseri umani nei paesi sviluppati è cresciuto in maniera esponenziale, in quanto la crescita della produttività è stata fenomenale: dunque i cittadini più poveri di oggi hanno a disposizione più beni, energia e vantaggi rispetto a quanto il Re Sole poteva ottenere soltanto grazie al lavoro di migliaia di persone esclusivamente dedite a lui, e a pochi altri. Dunque potrei aumentare l’ansia di qualcuno sottolineando come il capitalismo sia essenzialmente democratico.