Il tema del giorno è ancora il redditometro. Qui non è in discussione lo strumento in qualità di mezzo per scovare gli evasori, nessuno lo discute. E neppure si discutono tanto i criteri da individuare per questa caccia (anche se bisognerebbe lavorare più sulla fiducia dei cittadini verso lo Stato, piuttosto che accanirsi sull’evasore, ma questo è un discorso più generale).

Gli errori fatti però con questo decreto sono, a mio avviso, di tipo essenzialmente comunicativo. A partire dal nome stesso, redditometro, che non piace. Non è un’espressione, una parola, un termine nuovo: risale addirittura al 1973. Ogni tanto questo strumento o qualcosa che gli rassomiglia viene attivato e i ricordi che evoca non sono piacevoli; in più è stato presentato 15 giorni prima del voto europeo. Onestamente, aprire una discussione sulle tasse a due settimane dal voto, è una cosa che non aiuta un governo. Ricordiamo le parole del ministro Tommaso Padoa Schioppa che disse “Le tasse sono una cosa bellissima”… Ma non la pensano così gli italiani, non la pensano così gli elettori. E quindi evocare il tema prima di un voto non è una mossa brillantissima. Questo è il motivo per cui si è scatenata una reazione dentro il governo, tra gli alleati della Meloni, fino al punto di costringere la premier al riparo, dicendo che “non saremo il grande fratello delle tasse”. Ha cercato di mettere una pezza sul piano comunicativo, però non c’è dubbio che il colpo è stato incassato. E siccome non è la prima delle scivolate su questo fronte, penso che ci sia un problema, perché c’è una distanza notevole tra la Meloni, i suoi comportamenti, e quello che fanno i suoi ministri, i suoi sottosegretari, la sua squadra.

L’ultimo sondaggio

Infine siamo più o meno a 15 giorni dal voto europeo e il Corriere della Sera, pubblica l’ultimo sondaggio. Sappiamo che negli ultimi 15 giorni non si possono diffondere, anche se sotto banco ne circoleranno abbondantemente. Le previsioni danno Fratelli d’Italia in calo, al 26,5%, mentre sale il Partito Democratico al 22,5%, il Movimento 5 Stelle continua a calare, al 15,4%, Forza Italia al 9,2%, la Lega all’8,6%. Tra le forze minori l’alleanza tra Sinistra e Verdi si attesta oltre il 5%, Stati Uniti d’Europa poco oltre il 5%, mentre non ce la fa Azione che resta sotto il 4%. Io vi dico la mia conclusivamente, più o meno la materia la conosco. Ragionare sui decimali non serve a niente, soprattutto quando parliamo delle formazioni minori: le previsioni hanno un margine di errore molto alto e per i piccoli non c’è nessuna garanzia di conquistare i seggi con questi numeri. Diverse sono le tendenze naturalmente per i partiti più grandi, lì i sondaggi possono essere più azzeccati, però è inutile ricordare quante volte l’elettorato ci ha sorpresi o poi nel momento del voto, in particolare in una elezione che si considera, politicamente poco impegnativa, come quella per il Parlamento.

Tratto dal podcast RifoNews di giovedì 23 maggio