10 regole (+1) per resistere con grazia al mondo dell’app più diffusa
Il decalogo per sopravvivere a Whatsapp, le buone maniere nell’epoca delle notifiche: chiamare direttamente nel 2025 è come entrare in bagno senza bussare
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C’erano tempi in cui si toglieva il cappello in ascensore, si bussava solo una volta e non ci si aggiustava la cravatta in pubblico. Tutto questo, prima che il “Buongiorno” si trasformasse in “visualizzato alle 7:43”. Con oltre 2 miliardi di utenti, WhatsApp ha rivoluzionato il modo in cui comunichiamo. La “microcoordinazione sociale” dell’era smartphone ha reso le interazioni più fluide: se prima un appuntamento veniva fissato con precisione (“ci vediamo alle 19:00”), oggi assistiamo a una negoziazione in tempo reale (“sto uscendo”, “ritardo 10 minuti”, “dove sei?”), creando l’aspettativa di disponibilità costante.
Studi sul comportamento digitale mostrano che l’uso scorretto della messaggistica istantanea può generare irritazione, fraintendimenti e persino logorare i rapporti personali. In altre parole: se rompi su WhatsApp, prima o poi rompi anche nella vita reale. C’è chi lo considera snobismo d’altri tempi, chi lo cita con la puzza sotto il naso, e chi (raramente) lo applica. Il galateo è uno strumento di convivenza, non una reliquia aristocratica. Non serve solo a saper scegliere la forchetta, ma a non far sentire l’altro come uno scocciatore o un troglodita emotivo.
Le regole cambiano da paese a paese. In Giappone, ad esempio, le condoglianze si scrivono con inchiostro nero diluito, per essere meno “freddi”, su carta semplice e buste non sigillate, perché il dolore non si chiude. Anche nei messaggi digitali si mantiene una formalità rigorosa. Nessuno lì (ma neppure qui) penserebbe di inviare un “Mi dispiace tanto 😢”.
Ecco il decalogo per sopravvivere nel selvaggio WestApp:
1. Prima di chiamare, manda un messaggio. Chiamare direttamente nel 2025 è come entrare in bagno senza bussare. “Ciao, ti posso chiamare?” è il nuovo “Posso entrare?”. Le videochiamate a sorpresa sono peggio: nessuno vuole essere visto con la maschera all’argilla verde.
2. Se cade la linea, richiama chi ha chiamato. È logica: se hai avuto bisogno di me, sei tu a dover richiamare. Altrimenti entriamo nella frustrante danza dell’“occupato – richiamo – occupato”, perfetta per farci odiare reciprocamente in pochi minuti. Questa regola andrebbe messa in Costituzione!
3. I numeri si condividono con la vCard. Inviare un numero trascritto (“Paolo Rossi 3382242092”) è scortese. Seleziona inoltra “contatti” e mandalo in questo modo. Però, attenzione! Se invii il contatto di un tuo affetto salvato come “Amore Mio ❤️”, sappi che da quel momento sarebbe più giusto salvarlo come “Amore Nostro 💞”.
4. I gruppi? Serve un invito. Aggiungere qualcuno senza avvisarlo è come trascinarlo a una festa dove non conosce nessuno. Prima chiedi. E se sei amministratore, metti una descrizione, presenta i partecipanti, condividi i vCard. I gruppi senza contesto sono come film senza trama: confusi e disturbanti.
5. I messaggi vocali dividono l’umanità. Sono come la pizza con l’ananas: alcuni li amano, altri li odiano. Chiedi sempre se puoi inviarne uno. E risparmia la frase “Ti mando un audio che faccio prima” – tu fai prima, ma io magari sono in riunione. E no, nemmeno se alla fine dell’audio c’è una rivelazione su chi ha ucciso Kennedy.
6. Presentati. Se sei registrato come “Fiorellino🌸” con foto di un tramonto e scrivi “Ehi, ricordi quella cosa?”, come faccio a capire chi sei? Ricorda, la foto del tuo tatuaggio con la scritta “Resilienza” non è un documento d’identità.
7. Un messaggio unico, non bombardamenti a rate. Inviare messaggi a rate (“Ciao”… “Come stai?”… “Tutto ok”… “Caffè domani?”…) è come suonare quattro volte il campanello di casa. Ogni notifica ha un costo emotivo. Componi un unico messaggio chiaro. E se vuoi proprio essere gentile, se proponi delle opzioni numerale. Dai così la possibilità di rispondere rapidamente all’altra persona.
8. Screenshot? No, grazie. O almeno che si autoeliminino. Condividere conversazioni private senza consenso è un atto di barbarie digitale. Se proprio devi farlo, almeno impostala come “visualizza una volta”. Il karma digitale è veloce e implacabile.
9. Rispondi con tempismo ragionevole. Se non puoi rispondere subito, un semplice “Scusa, ti rispondo appena posso” fa la differenza.
Come cantava Guccini: “Quante volte per gli altri è vita quello che per noi è un minuto”. Se ti capita spesso, passa a WhatsApp Business, che prevede la possibilità di impostare messaggi “lampo”, richiamabili con un semplice click e risponderai in pochi istanti.
10. Rispetta gli orari. Messaggiare alle 23:50 comunica che:
a) è un’emergenza,
b) non rispetti il tempo altrui, oppure
c) sei un vampiro.
In ogni caso, forse non è l’impressione che vuoi dare.
Regola bonus: “Non ti sento” non è un’opinione. Se ti dico che non ti sento e tu rispondi “Io ti sento benissimo!”, stai solo esibendo il tuo ego. In una conversazione contano entrambi i lati, anche in acustica. Il problema non è che tu non senti, ma che io non ti sento.
Il galateo digitale evolve costantemente. Ciò che conta è l’intenzione: rispettare gli altri e creare un ambiente digitale armonioso. La tecnologia cambia, ma la necessità di rispetto reciproco resta invariata. Se il bon ton fosse un’app, nessuno la scaricherebbe. Ma è proprio per questo che serve: per ricordarci che la buona educazione –come la buona connessione– si nota solo quando manca.
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