Antonio Tajani, eletto qualche giorno fa segretario di Forza Italia, ha davanti a sé una missione abbastanza complicata, quasi impossibile, tant’è come lui stesso ha precisato all’inizio dell’intervento tenuto domenica scorsa al Consiglio nazionale, “non è facile guidare un movimento politico che ha avuto come leader per quasi trent’anni anni Silvio Berlusconi”.

Non lo è per nulla, ha ragione da vendere Tajani, non solo perché deve competere per riflesso con la leadership del fondatore azzurro, che rappresenterà comunque nei prossimi anni eredità comparativa ingombrante e fastidiosa per lui e per chiunque intenda cimentarsi in quel ruolo, ma anche per un secondo motivo di competizione più generale e immediata. In questi ultimi tre decenni, infatti la leaderizzazione, con essa la comunicazione del leader, ha occupato quasi tutto lo spazio della politica, rilegando i partiti ai margini della scena e favorendo una disintermediazione così spinta che ciascun militante, follower e cittadino è oramai consapevole di non aver più bisogno di filtri vari per dialogare o raggiungere il proprio leader, presidente o sindaco e viceversa.

Ecco perché Antonio Tajani nei prossimi mesi dovrà continuare a guardare al modello di leadership berlusconiana, senza cadere nelle trappole dell’emulazione melanconica, ma soprattutto dovrà guardarsi dagli altri stili comunicativi che oggi hanno una identità precisa e riconoscibile e consentono ai loro interpreti di incassare delle quote di audience, in particolare sulle piattaforme digitali, che risultano decisive anche nei frangenti elettorali. Sarebbe un errore grossolano se Tajani si mettesse a inseguire la comunicazione di Matteo Salvini o di Giorgia Meloni, così come sarebbe suicida pensare di inseguire i tempi e gli stili delle leadership di Matteo Renzi, di Carlo Calenda o di Giuseppe Conte. Allora, come potrà vincere la sfida alle leadership concorrenziali?

Antonio Tajani può semplicemente continuare a essere il Tajani di sempre, ma al contempo, dovrà essere pronto e sfrontato a rinnegare sé stesso. Ciò significa in soldoni che può e deve mettere in conto una profonda revisione di quel modello di comunicazione iper-convenzionale, senza ripudiarlo del tutto, infuso in una sobrietà che sì racconta la serietà dell’uomo e del politico, ma che nella nuova dimensione di guida e di motivatore delle truppe azzurre, diventa anche una zavorra. È nella ricerca di questo fragile equilibro tra la spettacolarizzazione, che accomuna quasi tutte le leadership politiche del XXI secolo e che non è un male a prescindere, e la valorizzazione della sua visione di leader collegiale, di uomo squadra più che di capo popolo, che c’è la chiave di volta della possibile riuscita della sfida accettata da Tajani.

Un percorso per nulla in discesa, carico di insidie e tagliole, nonché un lavoro faticoso e complesso attende l’attuale vice premier e Ministro degli esteri, ma che ha già dato prova di poter portare a casa il risultato. Un primo dato da non prendere sottogamba lo si ricava dalle performance degli account social di Antonio Tajani. Così, utilizzando come spartiacque la scomparsa di Silvio Berlusconi per confrontare un prima e un dopo, c’è una crescita di attenzione che lascia ben sperare. L’engagement dell’account Instagram, per fare un primo esempio, è passato dall’1,1% (gennaio – maggio) al 2,4% (giugno-luglio), così altrettanto, la percentuale di interazione al post, sempre su Instagram è cresciuta dall’1,7% al 6,6%. Ma, anche dalla rete giungono segnali positivi, che vanno supportati con il cambio di strategia. La media delle menzioni è salita da 144 a 190 mentre il sentiment positivo espresso dagli utenti nei confronti dei Antonio Tajani si è incremento di 8 punti percentuali, passando dal 41% al 49%.
Insomma, il leader in potenza c’è, ma molto del successo dipenderà da quanto Tajani rimarrà attaccato alla sua comunicazione e da quanto sarà aperto a sperimentare nuovi e inevitabili percorsi.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).