Chi vincerà? Per ora, la questione è soltanto calcistica. Milan o Inter, per lo scudetto? In Serie A manca l’ultima giornata. Qui a Cannes, ancora una intera e intensissima settimana di cinema. Però sulla Croisette les italiennes non sono pochi e inevitabilmente, tra un film e l’altro, se ne parla. Delle milanesi, della Roma in finale di Conference League. Persino della Juve, malgrado gli argomenti a riguardo al momento scarseggino… Il Festival di Cannes scalda gli animi di tutti (anche dei tifosi bianconeri). E schiera oggi, in concorso, due registi già campioni. Ruben Östlund ebbe la Palma nel 2017 con The Square. Dieci anni prima il massimo riconoscimento era toccato a Cristian Mungiu con 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, durissima e ancora molto attuale riflessione sull’aborto.

Lo svedese Östlund prova a stupire, di nuovo. Dopo avere messo alla berlina la società dell’arte contemporanea, ricca di dollari e povera di morale, con Triangle of Sadness imbastisce un altro dibattito socioculturale. Stavolta sul mondo del web, degli influencer, dei guadagni facili. Nessuna voglia di fare la morale. Ma tanto spazio al cinismo intelligente e ragionato di un autore poco prolifico, che il Festival ha lanciato, consacrato e vuole tenersi stretto. Il triangolo della tristezza sconvolge una coppia di bellissimi (Charlbi Dean Kriek e Harris Dickinson) e un capitano alcolizzato che cita Marx (l’americano Woody Harrelson), durante una crociera di lusso. C’entra la lotta, di classe e per la sopravvivenza. Pur in buona compagnia (Mihaileanu, Porumboiu, Puiu …), Cristian Mungiu è il nome di punta della duratura primavera cinematografica romena. Il regista del portentoso Un padre, una figlia riaffronta la irrisolvibile questione famigliare parlando di un papà e un figlio piccolo, protagonisti in difficoltà relazionale di R.M.N.

Sono una mamma, una bambina e un cane il terzetto di Marcel!, esordio di Jasmine Trinca alla regia di un lungometraggio. Periodo fortunato per l’artista romana (che con Fortunata di Sergio Castellitto fu migliore attrice a Un Certain Regard). Cannes ama coccolare le proprie scoperte. Jasmine, qui debuttante a vent’anni con La stanza del figlio di Nanni Moretti, in questa 75esima edizione fa parte della giuria del concorso. Non è un caso sia stata artisticamente allevata da Moretti, oltre che dalla Francia. Il suo film – oggi nella sezione “Proiezioni Speciali” – è un po’ morettiano e un po’ truffautiano. Protagonista è Alba, la prima delle due Rohrwacher attese sul tappeto rosso. Fra pochi giorni arriva la sorella Alice, regista del corto Le pupille e al centro di un Rendez-vous con il pubblico. Tanta Francia per Marcel!, pure una percentuale di produzione. E Roma? La quota capitale è ben rappresentata dalla signora Giovanna Ralli. Core!

Il regista Quentin Dupieux (Mandibules-Due uomini e una mosca) ha i suoi estimatori. I suoi detrattori. E chi banalmente si disinteressa del suo cinema. Fra i tre gruppi quest’ultimo è il meno rappresentato, perché è difficile restare indifferenti al suo folle linguaggio. Per Fumer fait tousser, il cineasta parigino ha chiamato in causa alcuni fra i più noti attori d’oltralpe: Adèle Exarchopoulos, Vincent Lacoste, Gilles Lellouches, Benoît Poelvoorde. Li ha fatti combattere contro una «feroce tartaruga demoniaca» e vestiti con tutine stile Power Rangers. Al Festival chi lo aspetta. Ma la proiezione è programmata dopo la mezzanotte, per non scandalizzare troppo i puristi. Il Festival di Cannes, si sa, è un poliedro a facce molteplici. Nelle ultime ore si sono alternate, per gli obiettivi dei fotografi (la categoria più rumorosa, insieme ai gabbiani), i sorrisi dei bambini che hanno affollato il Grand Théatre Lumière per il cartoon Le petit Nicolas e i volti duri di chi ha accompagnato il documentario Mariupolis 2 di Mantas Kvedaravičius. Il regista lituano ucciso il mese scorso, durante l’assedio di Mariupol. È l’opera più sofferta della Selezione.

Che però, anche quando a parlare è la fiction, non dimentica. Fosse anche senza consapevolezza, per caso. Ma quando si ha a che fare artisti di valore spesso è da avvalorare, come sensibilità d’autore. E se fra i personaggi di Triangle of Sadness c’è un oligarca russo, il gallese Sir Anthony Hopkins scopre e difende le origini ucraine della sua famiglia, secondo copione di Armageddon Time di James Gray. La discendenza est europea è quella del regista americano, passato in concorso con un coming of age molto personale, che si ispira liberamente alla sua preadolescenza passata nel Queens di New York negli Ottanta. Hopkins è l’amorevole, amatissimo nonno di Paul Graff (il bravo 14enne Banks Repeta, fossimo alla Mostra di Venezia avrebbe già in tasca il premio Mastroianni al migliore esordiente), alter ego di Gray. Potenzialmente un capolavoro, non lo è. Un film corretto, a volte profondo. Ma sempre avaro di poesia. Meno truffautiano del film della Trinca, insomma…

C’è molto lirismo invece nella storia di EO (ma a pronunciarlo, l’assonanza è con Ih-Oh di Winnie the Pooh). Sorprende l’asinello che l’anziano maestro polacco Jerzy Skolimowsky, ha voluto protagonista assoluto del suo lavoro in gara. È una favola, sia gentile sia violenta, che regala tenerezza e forte empatia nei confronti dell’animale, legato alla propria padrona da profondo affetto. Che non si attenua, anche quando i due vengono separati. Un’opera di poche parole e di belle immagini. Lo stile del regista è così libero, da strizzare a volte l’occhio alla sperimentazione. Nel finale, ambientato in Italia, c’è anche il giovane Lorenzo Zurzolo che interpreta uno strano pretino vagabondo, figliol prodigo di cotanta mamma: la divina Isabelle Huppert, la cui apparizione inattesa sullo schermo ha scatenato l’entusiasmo degli spettatori. Pronti a riservarne a piene mani anche a David Cronenberg, che lunedì arriva a testa altissima a presentare Crimes of the Future. Altro tassello di una carriera formidabile, che si era interrotta proprio a Cannes, con il premio a Julianne Moore per il suo ruolo in Maps to the Stars (2014). E di (super) star è colma anche l’ultima fatica del geniale canadese, ottant’anni nel 2023. Il sodale Viggo Mortensen, Lea Seydoux e Kristen Stewart, pare non si siano risparmiati nell’affrontare l’ennesimo viaggio distopico e angosciante, del papà di Crash, eXistenZ e La Mosca.

Titoli non ciati a caso, a giudicare dalle prime immagini di Crimes of the Future. Sempre lunedì 23, avrà la sua passerella un altro fuoriclasse. Park Chan-Wook promette eleganza visiva, affatto fine a sé stessa, nel noir Decision to Leave. La Corea del Sud dunque ci riprova, dopo il trionfo pre-pandemico di Parasite di Bong Joon-ho. L’Estremo Oriente è spesso stato forte, da queste parti. E nessuno qui, può scordare Patrice Cheréau. Valeria Bruni Tedeschi ha frequentato la sua celeberrima scuola di teatro: Les Amandiers. La regista gli dedica un film, che porta lo stesso nome. In Les Amandiers – scende in gara domani, per la Palma d’Oro – Bruni Tedeschi ha voluto l’ex compagno Louis Garrel, per interpretare Cheréau. Scelta coraggiosa, pronta a mettere in subbuglio i sentimenti. Non solo dell’autrice.