Occorrerebbero robusti strumenti di analisi psicologica dei comportamenti sociali, per comprendere davvero, nella sua essenza profonda, questa spasmodica centralità delle regole della circolazione stradale nella attenzione della gente e della politica. Non intendo assolutamente minimizzare l’importanza di regole cautelari preventive che assicurino una ordinata circolazione di auto e moto, e con esse la salute e la incolumità di tutti noi; ma mi ha sempre colpito da un lato l’enfasi delle cronache, che evidentemente incontra con successo l’interesse dei lettori, e dall’altro l’immancabile riflesso della politica nell’individuare questo tema come potenzialmente foriero di succosi consensi elettorali.

La continua ricerca di pene severe

Sta di fatto che, da molti anni, governi di ogni colore giocano ad un costante rilancio nella gara all’inasprimento di regole e sanzioni, quasi sempre adottate, come ormai consuetudine, sulla scia di eventi di cronaca di particolare impatto mediatico. L’esempio più eclatante è quello della introduzione nel nostro codice penale dell’omicidio stradale, intervenuta nel 2016 a coronamento addirittura di una legge di iniziativa popolare del 2010, che chiedeva appunto la introduzione di un reato specifico, punito con grande severità. Una riforma, è il caso di dirlo, a furor di popolo. La “percezione” mediatica e dunque popolare era che le pene inflitte a chi si fosse reso responsabile di un omicidio colposo alla guida di un’auto fossero insopportabilmente inadeguate alla gravità del fatto. Non che l’omicidio colposo non prevedesse già aggravanti quali la guida in stato di ebrezza e la violazione delle regole della circolazione stradale, con pene fino a dieci anni di reclusione; ma la volontà popolare disse che ciò non bastava. E dunque la norma, oggetto di continui aggiornamenti, giunge a punizioni da più parti considerate del tutto sproporzionate per un reato pur sempre colposo, non certo espressione di una volontà omicidiaria: ma tant’è.

Le idee di Salvini

Naturalmente, i risultati – in termini di prevenzione degli incidenti – di questa impennata punizionista sono pressoché nulli (ne parliamo in questo numero), ma che importa? Queste sono norme manifesto, lanciano messaggi, illudono la gente sui presunti effetti miracolosi della escalation punitiva. Figuriamoci allora se un uomo politico come Matteo Salvini non avrebbe immediatamente impugnato questa bandiera populista, fino ad osare quanto nessuno aveva fino ad oggi mai osato: punizioni severissime (ritiro della patente, multe iperboliche) non solo se stai guidando sotto effetto di sostanze stupefacenti, ma perfino se dalle analisi risulta semplicemente che tu le abbia assunte giorni prima.

Il caos delle droghe

Qui abbiamo addirittura superato e smarrito il senso stesso di un codice della strada, che diventa strumento pretestuoso per introdurre – quanto all’uso personale delle droghe – una sanzione non prevista dalla legge sugli stupefacenti, ed in tal modo surrettiziamente introdotta in un contesto normativo del tutto diverso. Una norma che calpesta il principio di offensività, che è il fondamento del diritto penale secondo la nostra stessa Costituzione, perché punisce una condotta inoffensiva, che non è naturalmente la guida in stato di ebrezza, ma la guida perfettamente lucida e consapevole di una persona che però ha assunto droghe qualche giorno prima.

Ci penserà la Corte Costituzionale, statene certi, perché anche in questa gara al rialzo, in questa ormai irrefrenabile idolatria della punizione, ottusamente considerata come la soluzione dei nostri mali, deve essere recuperato un limite di decenza. Razionalità, proporzione sanzionatoria e necessaria offensività delle condotte sanzionate sono paradigmi costituzionali che ancora presidiano la nostra vita sociale, per fortuna. Buona lettura!

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