Se c’è una parola, una sola parola, che fotografa alla perfezione la politica estera del Presidente Meloni, quella parola è: realismo. Realismo e fedeltà cieca agli Stati Uniti. Realismo nella condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Realismo nella condanna dell’attacco terroristico di Hamas a Israele fino al punto da non caratterizzarsi troppo nella richiesta, che diversi leader europei hanno sollecitato, di ‘due popoli due Stati’. Due casi, questi, che dimostrano il riallineamento filoccidentale della Meloni su posizioni che, prima di entrare a Palazzo Chigi, non erano così lineari e scontate né per lei né per il suo partito. Scelte condivisibili, lo dico subito, ma non posso fare a meno di ricordare il recente passato.

Nel 2018 Giorgia si complimenta con Putin per la sua quarta elezione: ‘La volontà del popolo appare inequivocabile’ – dichiara. C’è dell’altro da considerare. Giorgia è ferocemente contraria alle sanzioni e ritiene il vaccino Sputnik la soluzione per debellare il Covid. Insomma, un filorussismo dichiarato.
E poi. Che tra la sua gente vi siano sacche di antisionismo è una verità incontrovertibile, che la politica filo araba sia stata la bussola del movimento dal quale proviene è altrettanto vero, e tuttavia stravince il realismo. Il realismo o siamo di fronte a una profonda revisione dei pilastri di quel mondo di destra che le ha dato i natali? Nutro sempre dei dubbi quando si assumono posizioni in totale conflitto con le proprie radici, cioè con l’identità costruita in decenni. Questo atlantismo così viscerale da destare sospetti, questo sedersi acriticamente accanto agli Stati Uniti quando Biden, sulla rotta dei suoi predecessori, ha confermato la distanza degli interessi americani dall’Europa, e soprattutto la mancata scommessa su un’Unione Europea più forte, più solidale, con una politica economica e una politica della difesa concertate sul serio, tutto lascia pensare che il tempo della tattica non sia ancora al tramonto.

La mancata ratifica del Mes è lì a dimostrarlo. Quel ‘no’ urlato da Salvini non era isolato e non era soltanto leghista, solleticava la pancia di militanti e parlamentari di Fratelli d’Italia che l’Europa l’hanno sempre vista in cagnesco, basta rileggersi i programmi elettorali di un pugno di mesi fa quando Giorgia riteneva opportuno ridiscutere l’euro e l’appartenenza dell’Italia all’area della moneta unica, ‘fattore di disgregazione’ diceva. C’è di più: il plauso alla Le Pen quando proponeva di uscire dall’euro. Il realismo, quindi, non ha abraso un certo sovranismo che carsicamente riemerge.

Infine, le politiche migratorie. Nulla, ma proprio nulla di ciò che sosteneva è stato, non dico realizzato, dico iniziato, a partire dai blocchi navali e siamo a un anno e mezzo dalla sua investitura.
Si dirà: l’opposizione è una cosa, il governo il suo opposto. Sì, ma i voti sono stati chiesti su quel programma, su quegli slogan, sulla promessa di quelle politiche, non sul loro contrario.
Che abbia ragione Montaigne? “Anche sul più alto trono del mondo non siamo seduti che sul nostro culo”.