Ancora una giornata di bilaterali con presidenti e capi delegazione dei paesi africani. Mezz’ora a tu per tu con l’eroe degli Australian open Jannik Sinner che va a palazzo Chigi appena atterrato a Fiumicino. Agenda fitta, come sempre, per la premier Giorgia Meloni. Ma neppure un minuto per intervenire su quella cittadina italiana in carcere a Budapest da 10 mesi e comparsa per la prima volta lunedì nei servizi del Tg3 con una catena che dalla vita arrivava fino alle caviglie e poi su fino ai polsi. Un cane al guinzaglio di una poliziotta che la tirava passo passo verso una panca di legno da dove, dichiaratasi per l’ennesima volta innocente, avrebbe ascoltato i giudici rinviare l’udienza a fine maggio. A quel punto saranno quattordici i mesi passati in un carcere della capitale ungherese. Ilaria Salis ha 39 anni, è una maestra, la famiglia vive a Monza, non ha alcun precedente in Italia e a Budapest, l’11 febbraio 2023 era andata per partecipare ad una contromanifestazione a margine del Giorno dell’onore, una manifestazione di gruppi nazifascisti europei. La donna è stata arrestata per un paio di aggressioni sulla base di filmati dove si vedono però solo persone con il volto coperto. Le presunte vittime hanno riportato lesioni guaribili in sei giorni e non hanno neppure presentato denuncia. Ilaria si è sempre dichiarata innocente, chiede di vedere le prove a carico ma la procura non le produce. Rischia 21 anni di carcere. Il caso è seguito dalla Farnesina, dalla famiglia e dall’ambasciata a Budapest. Ma le notizie filtrano con il contagocce. E finora almeno il caso non era riuscito a bucare a livello mediatico. Fino all’udienza di lunedì mattina. A quella scena che non si può vedere mai e ancora meno in un paese membro della comunità europea. Ma se quel paese è l’Ungheria di Viktor Orban già sanzionato dalla Commissione Europea per violazione dei diritti umani, leader molto vicino a Giorgia Meloni e a Matteo Salvini, c’è chi (ad esempio il ministro Lollobrigida) fa finta di non aver visto quelle immagini crude e umilianti e c’è chi ha tanto da tanto da fare, come la premier Meloni, da non trovare il tempo di dire una parola.

Così la vittima sacrificale da mandare in pasto a giornalisti e opinione pubblica giustamente scandalizzati alla fine è il vicepremier e il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Alla fine sbotta anche un po’: “Sentite – dice ai giornalisti tra palazzo Chigi e Montecitorio e poi in Transatlantico – inutile che continuiate a chiedere di Meloni e del governo. Io sono il governo e il ministro degli Esteri, dunque parlo io”. Da solo, però. Quello che dice e ripete può essere sintetizzato in pochi punti: “Quelle scene non sono tollerabili e offendono la civiltà giuridica europea”; “Seguiamo da sempre il caso di Ilaria Salis, stamani abbiamo convocato l’ambasciatore ungherese e abbiamo chiesto di valutare la custodia cautelare ai domiciliari (anche in ambasciata, come già successe per i marò, ndr)”. Detto questo, “noi possiamo protestare ma le condizioni di detenzione le decide il giudice e poi l’amministrazione penitenziaria e l’unica cosa che possiamo fare è chiedere di intervenire e modificare il trattamento della detenuta”.

Tajani ripete questi concetti per convincere se stesso e chi ha di fronte. In realtà, proprio per le continue violazioni dei diritti per cui è stata condannata l’Ungheria, l’intervento può essere eccome politico e non solo tecnico-giuridico. Dunque direttamente su Orban. Ma Tajani resta perplesso: “Bisogna stare attenti – avverte – a non politicizzare la cosa perché potremmo ottenere l’effetto contrario. Per fare casino in Italia si peggiora la situazione e il giudice sottoposto a pressioni di tipo politico chissà come può reagire”. Eccolo qui il non-detto che fa la differenza, l’elefante nella stanza che tutti vedono ma fanno finta di nulla. Ilaria Salis può diventare la merce di scambio che Orban si gioca sul tavolo di una partita tripla: lo sblocco dei fondi europei, circa venti miliardi, ancora congelati per le sue ripetute violazioni dei principi e dei diritti fondanti dell’Unione; con quale famiglia europea allearsi in vista di giugno e il gruppo più accreditato sono per l’appunto i Conservatori presieduti da Meloni. Fidesz, il partito nazionalista di Orban, pesa una dozzina di seggi nel Parlamento europeo, al momento non siedono in alcun gruppo politico ma è chiaro che fa gola a molti.

Ai Conservatori dove però potrebbero diventare scomodi se dovessero a loro volta allearsi con il Ppe che due anni fa mise alla porta Orban. Fa gola all’estrema destra di Identità e democrazia, cioè Salvini, Le Pen, Afd e amici sovranisti. Id ha da poco superato nei sondaggi i Conservatori. Con i voti di Orban, Id e Ecr potrebbero superare i Popolari. La terza partita per cui la povera Salis potrebbe diventare merce di scambio sono i finanziamenti all’Ucraina. Si tratta di un pacchetto di 50 miliardi. Orban non vuole inserirli nella revisione intermedia del bilancio della Ue (’21-’27) che sarà discussa a partire da domani a Bruxelles nel Consiglio straordinario. Commissione e Consiglio vogliono invece inserire quel fondo una volta per tutte anche per non essere ogni volta, ogni anno, ostaggio dei veti di Orban. Contro i veti del leader ungherese la Commissione minaccia, secondo alcune indiscrezioni, di usare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione che priva l’Ungheria del diritto di voto e dei fondi Ue.

Una situazione delicatissima quella di Orban nell’Unione. E dell’Unione rispetto a Orban. La real politik fa sì che la premier Meloni non prenderà mai posizione pubblicamente contro l’amico Viktor per tutelare i diritti violati di una cittadina italiana. I due leader hanno bisogno l’uno dell’altra. E anche la Commissione preferisce non mettere benzina sul fuoco del dossier Ungheria. “Sono fatti che vanno risolti tra i due paesi, noi non possiamo fare nulla”, diceva ieri un portavoce della Commissione. Eccola qui dunque la storia non detta di Ilaria Salis. Tajani lo sa bene e prega di non politicizzare il dossier. Ma il dossier è stato brandito come un’arma, e quindi politicizzato, da chi ha fatto entrare in aula Ilaria legata come un cane alla catena. Le opposizioni chiedono l’audizione in aula di Meloni. Italia Viva organizza un sit-in sotto l’ambasciata a Roma (in via dei Villini, 12) da giovedì alle ore 14. Il caso crea tensioni anche nella maggioranza. Maurizio Lupi e Noi moderati tendono la mano a Tajani verso il Ppe e dicono: “Quello che abbiamo visto pone l’Ungheria fuori dall’Europa”. Crippa (Lega) chiosa così, senza alcun imbarazzo: “Ogni Paese punisce come vuole”. Meloni parte oggi e tornerà tra dieci giorni. Speriamo che a Bruxelles, privatamente, trovi il tempo di parlare con Orban. Di Ilaria Salis, prima di tutto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.