L’elezione all’unanimità di Gaetano Manfredi a presidente nazionale dell’Anci potrebbe aprire una nuova stagione di protagonismo per la classe dirigente del Mezzogiorno. A prescindere anche dalle appartenenze politiche di ciascuno, che finiscono per generare delle micro-rendite di posizione. Sono queste le sabbie mobili che nel recente passato hanno fatto naufragare speranze, ma soprattutto progetti di rinascita che al contrario avrebbero avuto altra fortuna se fossero stati supportati da una genuina cooperazione interistituzionale. Del resto, l’arroganza di tanta parte della nostra classe dirigente a ritenersi sempre e comunque autosufficiente rappresenta la fragilità strutturale più pericolosa non solo per il Sud, ma per l’intero paese.

Manfredi, il percorso a Palazzo San Giacomo

Adesso, tra le altre cose, la presidenza di Manfredi può essere portatrice di una prospettiva diversa, colpevolmente poco battuta per interessi di bottega. A guardare la storia personale e quella di rappresentante delle istituzioni, prima come rettore dell’Università Federico II, poi da ministro e infine quella più recente da sindaco di Napoli, ci dicono che Manfredi ha sempre privilegiato un principio collaborativo, rinnegando per indole e per scelta motivata un’impostazione egoistica. Nei tre anni passati a Palazzo San Giacomo, ereditando una situazione contabile e amministrativa per nulla semplice (anzi, più che disastrosa), il professore ha sempre cercato sponde, ha intessuto e coltivato rapporti, ha puntellato relazioni, si è speso per lanciare segnali distensivi, ha praticato e allevato l’ascolto più che l’audience o la popolarità mediatica, con l’intento di creare le migliori condizioni possibili per la sua comunità. In poche parole, il modello politico e poi amministrativo adottato sin dalla mattina del 19 ottobre 2021 – giorno del suo insediamento al vertice del Comune di Napoli – ha fatto leva costantemente su un principio collaborativo, che ha bandito ogni forma di scontro e di polemica aspra.

Ecco, è questa la cifra, formale e sostanziale, che Manfredi – da presidente nazionale dell’Associazione dei Comuni italiani – può mettere a disposizione dei tanti amministratori che tirano la carretta dal Tevere in giù e diventare la matrice costitutiva di un neomeridionalismo. Sulle sue spalle c’è da oggi un onere aggiuntivo oltre a quelli già presenti: quello di “eccitare la formazione della nuova classe dirigente – come scriveva giusto un secolo fa Guido Dorso, pubblicando il 2 dicembre del 1924 il suo Appello ai meridionali – ed educarla al disprezzo della vittoria nascente dal compromesso”. Il richiamo alle parole dello studioso irpino è quanto mai inevitabile: allora come oggi, il disprezzo della vittoria fondata sul compromesso (in questi casi è quasi sempre al ribasso) rappresenta la conditio sine qua non per uscire dall’egoismo e sposare senza remore e riserve il principio della collaborazione.

Il modello fondato sulla contrapposizione

È questo il terreno di coltura da non disperdere per vantarsi finalmente di una classe dirigente conscia delle proprie responsabilità e del proprio ruolo. Invece, in questi ultimi anni, la politica meridionale e campana, la centralità di Napoli e della Regione rispetto all’intero Mezzogiorno risultano così ingombranti da mettere in ombra tutto il resto. Si sono esaltati in un protagonismo che ha coltivato deliberatamente un principio differente e contrario a quello della collaborazione; il principio della contrapposizione, della vis polemica, dello scontro verbale con l’avversario e non, del voler a tutti costi sfidarsi a braccio di ferro piuttosto che provare la strada del dialogo e della comprensione delle istanze contrarie.

Tra gli attori di questo modello fondato sulla contrapposizione – quale forma fondamentale da adottare per ritagliarsi un protagonismo territoriale e una visibilità che superasse facilmente i confini locali – non possiamo non inserire Luigi de Magistris, che dal 2011 al 2021 è stato sindaco di Napoli. In questi tre anni di coabitazione napoletana, tra Vincenzo De Luca e Manfredi non sono mancati momenti di frizione che hanno alimentato divergenze e contrasti. Ma ogni volta a spegnere sul nascere il possibile incendio, a disinnescare l’ordigno della polemica, c’erano sempre le parole – o meglio, i silenzi strumentali – di Gaetano Manfredi.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).