L'intervista
Il politologo Calise: “Meloni è la leader che sa muoversi nello scenario caotico della crisi mondiale, il nuovo consenso si realizza così”
Il politologo e editorialista promuove la premier: “Ha scelto il terreno più complicato, con successo. Oggi non esistono più i partiti organizzati, intorno a personalità forti si organizza il nuovo consenso”
Il professor Mauro Calise insegna Scienza politica all’Università di Napoli Federico II ed è editorialista del “Mattino”. Al Riformista dice di non essere affatto sorpreso, quando legge il giudizio di Politico sulla premier.
Politico indica Giorgia Meloni come statista più potente d’Europa. Un giudizio che condivide?
«Non è una sorpresa. Il contesto è importante, e questo di Politico è un giudizio relativo. Nel contesto europeo c’è un declino impressionante di tutti gli attori che sono stati leader negli ultimi trent’anni. A partire da quelli di Francia, Germania e Gran Bretagna. Partiamo da questo, che è un dato molto importante in un contesto geopolitico in cui la leadership diventa sempre più un fattore-chiave. Guardando al panorama europeo, i paesi più influenti e pesanti, dal punto di vista geopolitico ed economico, sono sicuramente in pessima forma. Abbiamo avuto cinque primi ministri in Uk, negli ultimi tre anni. Dopo la Merkel, in Germania, il vuoto. E in Francia la scommessa Macron non è finita molto bene. E dopo di lui, il diluvio. In questo contesto, Giorgia Meloni non sta facendo male».
Sotto quale punto di vista?
«Non sta facendo male di suo. Nel senso che questo giudizio di Politico è anche frutto di una scelta strategica molto azzeccata di Giorgia Meloni che ha investito prevalentemente sulla scena internazionale. Cosa che non era né scontata, né semplice. Perché era il terreno più sfavorevole, sul quale lei si muoveva con un bias, con un handicap di partenza».
Partiva male ma ha recuperato bene?
«Direi di sì, e ha capito che quella internazionale era la prova più importante, se ambiva a durare. Se non fosse riuscita a levarsi rapidamente di dosso quello stigma di essere, in un modo o nell’altro, erede della tradizione fascista, sarebbe stato un problema. E tutto questo in un contesto – è importante sottolinearlo – in cui la politica interna non c’è più. E questa è la novità degli ultimi cinque anni. Non solo perché si decide di più nelle sedi internazionali, o perché si è più esposti. Nel mondo multipolare e globalizzato – dove la globalità va ridisegnata ogni volta, di fronte alle crisi – si conta solo se ci si sa muovere sullo scacchiere internazionale. E Giorgia Meloni non solo l’ha capito, scegliendo un posizionamento chiaramente atlantista sull’Ucraina, ma ha anche saputo muoversi con grande capacità. Conquistando Elon Musk sin da subito, poi l’India, i paesi africani con il Piano Mattei e da ultimo l’Argentina e il Sud America. E stringendo con Ursula von der Leyen un patto di lealtà pesante pur senza troppi compromessi. Chiaro che con tutte le crisi che si aprono, e ne abbiamo avute quattro solo nell’ultima settimana, una leader così è importante».
Quattro crisi, nell’ordine?
«Negli ultimi giorni è scomparsa la Siria. C’è stato un tentativo di golpe in Corea del Sud, un paese di cinquantuno milioni di abitanti che è il referente degli Stati Uniti in quel quadrante. L’annullamento delle elezioni in Romania a causa delle ingerenze russe. L’esplosione della crisi di governo in Francia. In questo contesto non esiste più la politica estera. Esiste un continuum tra politica interna e politica internazionale. E il leader di oggi deve saper prendere decisioni in questo quadro».
Sul terreno internazionale, tra focolai di crisi che piovono, Meloni si sa muovere…
«Si è saputa muovere. Ha scelto il terreno giusto. Oggi devi sapere che ti schieri su un fronte sapendo che tra tre mesi cambia tutto».
Meloni dovrebbe essere però più ambiziosa, cercando di cambiare il suo partito, di rinnovarlo profondamente, di selezionare meglio la sua classe dirigente?
«Una cosa alla volta. Abbiamo appena descritto i successi della Meloni, che sono più che sufficienti per spiegare perché Politico la indica come leader più potente d’Europa. I miracoli i leader politici non li fanno: possono tutt’al più prometterli. Ma per la costruzione del partito ci vuole tempo. Pochi anni fa Fratelli d’Italia aveva il 4%. Per questo aspetto non è come all’epoca di Mani pulite, quando i partiti erano importantissimi, improvvisamente sono venuti a mancare e allora Berlusconi ha inventato ex novo un partito importante. Allora ci volevano i partiti, per guidare il governo…»
Perché dice “all’epoca”, scusi? Oggi non servono più?
«I partiti oggi contano infinitamente di meno. Se non si ha un partito si sta in gioco, in politica. Un leader capace può governare con un partito non necessariamente forte, articolato, strutturato. Categorie, queste, che oggi fatico a trovare».
I partiti organizzati ci sono. Forse non hanno leader come Meloni, ma ci sono.
«Sono entità minori. Quando si parlava di partiti organizzati, erano altre cose rispetto a oggi. Oggi vota quando va bene il 50% degli elettori, i partiti sono liste elettorali. E dal punto di vista delle strutture, sono vecchi».
Giorgia Meloni saprà adeguare Fratelli d’Italia ai tempi nuovi?
«Ma pure questo deve fare? Sara Wagenknecht si è inventata in pochi mesi un partito tutto personale che è arrivato al 14-15%. Non vedo il tema. Il problema di Meloni è come stare su quei margini di popolarità che si è conquistata e come non farsi tirare giù dagli alleati, in lotta tra loro. L’opposizione debole e gli alleati litigiosi sono i due problemi che vedo per lei. Se avesse una opposizione più forte, si troverebbe con una maggioranza più compatta».
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