Se uno fa lo scienziato non può essere pregiudizialmente contrario alle innovazioni. Figuriamoci, ci mancherebbe altro! Quindi non è questo il motivo. Le mie perplessità sulla più grande opera di cui si torna ora a discutere, e che farebbe impallidire il Mose, sono di altra natura. Concediamo che i lavori si svolgano con correttezza esemplare, come se non ci fossero possibilità di infiltrazioni malavitose; come se ruberie tipo quelle sul Mose non possano verificarsi stavolta. Ammettiamo pure che i lavori sarebbero completati nei tempi e al costo pattuito, senza lievitare in corso d’opera, e che il progetto sarebbe eseguito senza varianti, perché ogni possibile intoppo e inconveniente sarebbe previsto e scongiurato.

In altre parole, che ricevessimo solo i vantaggi derivanti dalla costruzione del ponte, senza alcuna controindicazione. A questo punto, cosa ci avremmo guadagnato? Che il percorso tra Villa San Giovanni e Messina si sarebbe accorciato di una mezz’ora. Eh sì, perché i traghetti e gli aliscafi fanno la spola ininterrottamente e, in condizioni ordinarie, le file agli imbarchi sono molto scorrevoli. Quanti sono quelli che quotidianamente, o comunque con una certa frequenza, devono recarsi dalla Calabria alla Sicilia o viceversa? Sono loro a cui dobbiamo pensare, i frequent users. Infatti, quanto potrà mai pesare la minicrociera sullo Stretto a chi prenda il traghetto solo occasionalmente? Ad esempio, consideriamo il turista tipico. È uno che percorre centinaia di chilometri per arrivare a Reggio -partendo da Milano, da Roma, o fosse anche solo da Napoli-, per godersi le magnificenze della Sicilia (per quelle della Calabria non serve il ponte). Potrà mai essere motivo di contrarietà per lui fermarsi ad ammirare il panorama dello Stretto per qualche minuto in più? E allora per chi dobbiamo intraprendere quest’opera faraonica? A domanda retorica, risposta scontata. Per i siciliani, naturalmente. Non hanno forse diritto alla continuità territoriale? A guardare l’Italia peninsulare, il “continente”, come parte integrante del loro Paese, senza impacci, senza discontinuità e senza impedimenti? Giusto, giustissimo, anzi sacrosanto. Occupiamoci una buona volta della condizione di mobilità, dei diritti di trasporto del popolo di Sicilia.

Vi propongo a questo riguardo un esercizio istruttivo. Io sono a Siracusa e voglio recarmi a Marsala, percorrendo la Sicilia meridionale da est a ovest. La Sicilia è la regione più grande d’Italia, ma ha pur sempre l’estensione di una regione, quindi per attraversarla da oriente ad occidente, un po’ ci vorrà, ma non poi così tanto. Giusto? Ecco l’esercizio: andate sul sito di Trenitalia e digitate il percorso da Siracusa a Marsala. Oppure fidatevi, perché l’ho fatto io per voi. Tenetevi forte. La durata minima è la bellezza di 10 ore e 46 minuti. Partendo subito dopo colazione, alle 10:10, con tre cambi di quattro treni (Intercity 732, Regionale Veloce 5511, Regionale 21753, Regionale 21883) arriverete prima della fine della cena, alle 20:56. Ci vuole meno per andare da Roma a Pechino. Se poi vi eccita particolarmente il cambio di treno, si può anche fare di meglio. Con un tempo di percorrenza poco superiore, 10 ore e 51 minuti, potete godervi non quattro, ma ben cinque treni. A patto di alzarvi presto e di essere in carrozza alle 7:32… Se pensate che il problema sia delle tratte ferroviarie, sappiate che in corriera ve la cavereste più a buon mercato. Sette ore e passa la paura. E se, anziché da Siracusa, vi avvantaggiate un po’ partendo da Ragusa, quanto impiegherete in treno? Peggio mi sento! 10 ore e 23 minuti con quattro cambi di cinque treni diversi.

Va bene, mi direte, ma stai scegliendo tratte lunghe. Magari il raccordo ferroviario è particolarmente complesso. E sia, avviciniamoci ancora. Partiamo da Agrigento stavolta, a soli 140 km da Marsala. Durata minima… 6 ore e 33 minuti! È vero, a dorso di mulo ci si impiegherebbe di più, ma non poi così tanto di più. Saranno pure casi estremi, non discuto, ma il fatto che ci siano casi estremi come questi denuncia una gravissima carenza di infrastrutture. È mai concepibile che ci voglia lo stesso tempo per percorrere i 140 km da Agrigento a Marsala, che per gli oltre 1000 km della tratta Roma-Milano e ritorno? E non abbiamo ancora parlato delle strade. A fronte di arterie di grande scorrimento, belle e spaziose, come quelle che partono da Messina per dirigersi verso Palermo e verso Catania, la viabilità in molte zone della Sicilia sarebbe da ridisegnare e rifare daccapo.

Quindi quello che dico è che, se si vuole parlare di Grandi Opere in Sicilia, c’è un’opera grandissima da fare, modernizzare i sistemi di collegamento, prevenire il dissesto idrogeologico, mettere in sicurezza ponti e viadotti (e questo vale per gran parte d’Italia). Torniamo ora al Ponte e valutiamo i rischi incombenti. Fin dall’antichità quella zona faceva paura, tanto che alle insidie naturali si diede forma e attitudine di mostri e divinità. La corrente marina è forte? Colpa di Scilla e Cariddi. I venti impetuosi? Prendetevela con Eolo, che abita a Lipari e dintorni. La zona è altamente sismica? È Vulcano che tuona dall’Etna. Non a caso il più grande terremoto dell’epoca contemporanea in Italia fu proprio quello di Messina e Reggio Calabria del 1906. Fu un evento così devastante che i generali Austriaci, presagendo la guerra imminente, suggerirono a Francesco Giuseppe di maramaldeggiare attaccandoci in quel momento critico, tanto l’Italia era prostrata dallo sforzo di soccorso alle popolazioni colpite.

Tuttavia, io non ritengo che il problema principale per la costruzione del ponte sullo Stretto siano le difficoltà insormontabili di prevenire la collera di Eolo, Vulcano, Scilla e Cariddi, Ficarra e Picone. La tecnologia è sufficientemente evoluta per contrastarli tutti efficacemente (tranne forse la zazzera di Ficarra). Il problema è di priorità politica. Pertanto la mia proposta è la seguente. Inseriamo la costruzione del ponte come ultima fase di un pacchetto complessivo di ripensamento infrastrutturale dell’Isola, subordinandolo all’attuazione delle fasi precedenti. Prima la messa in sicurezza del territorio, poi lo sviluppo di una mobilità sostenibile e degna del terzo millennio, quindi la rimozione degli ecomostri e l’eliminazione di abusi cementizi intollerabili. Infine il Ponte. Utopia? Se davvero fossimo così solleciti verso la Sicilia e i siciliani, come ostentiamo di esserlo quando proponiamo di farli comodamente transitare su un ponte che sarebbe simbolo di riscatto e modernità, no, non sarebbe un’utopia. Sarebbe solo una concreta espressione di quella unità nazionale, tanto vigorosamente proclamata, quanto spesso elusa.