Un articolo abbastanza innocuo a firma di Giulio Meotti, pubblicato da Il Foglio, ha mobilitato qualche imbecille ad attribuire al giornale fondato da Giuliano Ferrara l’intento di riverniciare di qualche rispettabilità l’immagine oscena del criminale nazista Josef Mengele. L’articolo recava un titolo (“Professor Mengele”) magari discutibile, e un sommario forse evitabile dove aggiungeva: “Non solo un assassino”. Ma per il resto spiegava semplicemente che Mengele era uno con qualche buon accreditamento presso la comunità scientifica del tempo, e che i suoi atroci esperimenti non erano le bizzarrie clandestine di un apprendista stregone ma il compimento finale di impostazioni eugenetico-razziste tutt’altro che rinnegate dall’accademia imperante. Si può essere d’accordo o no, ma anche solo ipotizzare che Meotti e Il Foglio abbiano in tal modo inteso inaugurare una specie di negazionismo riabilitante (Mengele era un mostro, ma celebriamone la scienza) è men che da disonesti: è da imbecilli, appunto.

La questione si sarebbe potuta risolvere così se Giuliano Ferrara non l’avesse tuttavia impugnata per rilanciare: e cioè per scrivere che la scienza che assisteva Mengele e che lui rappresentava, esercitandola da par suo ad Auschwitz, era dopotutto la stessa che oggi, neutramente trasfigurata nel campo indiscutibile del relativismo morale, governa «un mondo con un miliardo di aborti, figli scelti à la carte e selezione della razza». E qui davvero non ci siamo più. Ma non, come potrebbe obiettare un imbecille d’altro tipo, perché è blasfemo paragonare l’alambicco nazista all’aggeggio democratico che pone fine a una gravidanza o inventa il pargolo per la coppietta progressista sterile. Il punto non è questo, ed è giusto (ma anche assai banale) osservare che una medesima guarnizione scientista si rivolge a giustificare applicazioni accettabili o no secondo il gusto dei tempi: e tutte ugualmente sostenute dalla scientificità della guarnizione.

Il punto, secondo me. è dunque un altro. È che la risposta al cosiddetto indifferentismo morale davanti al miliardo di aborti precipita infine, e non può essere diversamente, nella pretesa di usare la violenza contro la violenza dell’aborto. Che poi quella violenza sia fatta di carcere per la criminale, di cosiddetta obiezione di coscienza, di espedienti per rendere più difficile e doloroso il compimento del peccato, e cioè per impedire a queste streghe di sgravarsi spensieratamente, con una caramellina che ammazza il bambino del padre, perché anche lui, anche il padre, ha i suoi santi diritti a cominciare dal diritto di vedere il frutto della sua inseminazione, ecco, in tutti i casi cambia poco: c’è sempre di mezzo questo dettaglio rappresentato dal corpo delle donne, e cioè non una cosa ma una realtà animata inevitabilmente esposta a qualsiasi iniziativa di interferenza con la decisione serena o sofferta, con il diritto riconosciuto o negato, con il desiderio spontaneo o indotto, di non portare a termine la gravidanza.

Giuliano Ferrara non è uno dei tanti forsennati che in questa sua onorevole ossessione lo seguono: ma deve sapere, e non può permettersi di trascurare, che il suo apostolato contro la supposta società mortifera dell’aborto leggiadro (ma dov’è?) è condiviso da quelli che vogliono impedire il ferro dell’aborto usando il ferro contro quella che vuole abortire. E infine: che un medesimo mantello di scienza è adoperato per avvolgere e promuovere l’argomento raccapricciante secondo cui un seme che buca un ovulo è una persona. E che quell’argomento scientificamente ammantato finisce sui cartelli “pro vita” agitati sotto le finestre degli ospedali dove si realizza il disegno perverso delle donne: che il bel corteo, cristianamente, chiama assassine.