La mattina del 16 marzo, alle 9 e due minuti, le Brigate Rosse bloccarono le due auto con le quali Aldo Moro e la sua scorta stavano dirigendosi a Montecitorio. Una Fiat 130 e una Alfetta. Nessuna delle due era blindata. Fu un inferno di fuoco, durò esattamente tre minuti. I cinque uomini della scorta furono sterminati. Moro, illeso, fu trasferito a forza sulla Fiat 128 guidata da Mario Moretti, cioè dal capo delle Br. Poi fu spostato nel bagagliaio di un furgone e portato al covo nel quale restò prigioniero per 55 giorni, in via Montalcini, al Portuense.

Quel giorno fu deviata la storia d’Italia. A Montecitorio era prevista per le dieci la seduta della Camera chiamata a dare la fiducia al nuovo governo. Era un monocolore democristiano, guidato da Giulio Andreotti, che per la prima volta dal 1947 avrebbe ottenuto la fiducia dei comunisti. Il nuovo governo era frutto di un lunghissimo lavoro di mediazione condotto da Enrico Berlinguer e da Aldo Moro. Sul filo di equilibri difficilissimi. All’ultimo momento Moro, insieme ad Andreotti, aveva modificato la lista dei ministri, riducendo il numero dei tecnici orientati a sinistra ed aumentando il numero degli uomini più conservatori della Dc. Berlinguer si era infuriato e minacciava di non votare la fiducia. Alle 9 e 10 minuti la notizia del rapimento irruppe a Montecitorio. Berlinguer riunì la segreteria del partito e fu deciso di chiedere a Pietro Ingrao, che era il presidente della Camera, e a Fanfani, che era il presidente del Senato, di stringere i tempi del dibattito parlamentare e di votare la fiducia in serata. Berlinguer rinunciò a tutte le sue perplessità e diede ordine ai parlamentari di votare la fiducia. All’una di notte il governo era insediato.

E iniziò a muoversi su due binari. Il primo riguardava proprio il rapimento Moro, e Berlinguer, insieme al segretario della Dc, Zaccagnini (allievo e quasi fratello di Moro), e ai suoi vice (Galloni, Granelli, Bodrato e altri) stabilirono la linea della fermezza. Con le Br non si tratta. Craxi si dissociò. Anche nella Dc qualcuno si scostò dalla linea ufficiale. In particolare Fanfani e i suoi. Vinsero Berlinguer e Zaccagnini. La linea della fermezza fu affidata ad Andreotti e Cossiga che la applicarono con molto rigore. Il secondo binario sul quale si mosse il governo fu quello delle riforme. Anche su questo terreno il Pci prese la guida delle operazioni. In pochi mesi furono approvate alcune riforme importantissime. Prima di tutto l’introduzione dell’aborto (col voto contrario della Dc e cioè con l’opposizione del governo) poi la riforma sanitaria, che introduceva il diritto assoluto alla salute gratuita per tutti, poi la riforma psichiatrica, poi una clamorosa riforma degli affitti (di segno praticamente socialista) cioè l’equo canone, infine la riforma dei patti agrari, che riduceva i poteri dei proprietari di terra. Diciamo che si aprì la più grandiosa e feconda stagione riformista della storia della repubblica. Che si svolse sotto il tiro delle Brigate rosse e in pieno scorrere degli anni di piombo.

Una domanda che nessuno mai si è posto è questa: se Moro non fosse stato rapito, e se dunque la guida della maggioranza di unità nazionale fosse toccata a lui, e non a Berlinguer e Andreotti, si sarebbero realizzate le stesse riforme? Moro in realtà, alla guida della Dc – che dalla fine degli anni Cinquanta fino alla sua morte esercitò in alternanza con Amintore Fanfani – fu sempre un conservatore. Il primo periodo riformista del centrosinistra (con la riforma della scuola media e la nazionalizzazione dell’energia elettrica) avvenne sotto la direzione di Fanfani, non di Moro. Moro era grandioso nelle sue doti di mediazione ma anche nella sua capacità di aggirare gli ostacoli e rinviare i problemi. Era un politico-politico, convinto che per governare l’Italia si dovesse muovere poco mantenendo però sempre una grande apertura mentale. È probabile che un governo di unità nazionale guidato da Moro – e quindi coi comunisti e anche i socialisti in gabbia – avrebbe avuto una carica riformista molto ridotta.

Sarebbe interessante studiare anche questo aspetto, mai esplorato della politica e della storia italiana. Il terrorismo svolse – come si diceva allora – una funzione reazionaria, cioè – per reazione – spinse a destra l’Italia; o invece mise in mora la destra, aiutando oggettivamente una politica di riforme? Ci vorrà molto tempo per capirlo. Moro restò per 55 giorni nella prigione delle Br. Inviò centinaia di lettere polemiche verso tutto l’establishment. Si disse che in quel modo destabilizzò la politica italiana. Non è vero. Rafforzò l’asse tra Dc e Pci. Creando quella amalgama che in parte esiste ancora adesso è il nucleo forte del Pd.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.