Il divario fra Nord e Sud passa anche per la giustizia. Come a dire che dipende anche da giudici, pm, operatori della giustizia se il Mezzogiorno decolla o resta indietro. «Una giustizia efficiente può diventare fattore fondamentale per la competitività, in particolare delle imprese, ancor più nel Mezzogiorno» ci ricorda il rapporto Svimez 2021 presentato l’altro giorno a Roma. Svimez è l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Dal suo ultimo rapporto emerge che proprio nel Mezzogiorno si segnala la più alta domanda di giustizia con una media di 777 nuovi casi (su 10 mila abitanti) iscritti a ruolo ogni anno a fronte dei 704 del Centro e dei 541 del Nord.

«Ampio e persistente – si legge ancora nel rapporto – è il divario di efficienza tra i tribunali del Centro-Nord e quelli del Mezzogiorno, seppure in graduale riduzione». Secondo i dati Svimez, prima della pandemia occorrevano circa 280 giorni per chiudere un procedimento civile nei tribunali del Nord, 380 giorni al Centro e quasi 500 nel Sud, in rapporto alla popolazione. Con la pandemia i tempi non sono cambiati di molto, anzi, in molti casi si sono sommati rinvii su rinvii con conseguenti lungaggini sulla durata dei procedimenti. Quanto al settore penale, che nel Mezzogiorno ha un’incidenza tutt’altro che marginale, nell’ultimo rapporto Svimez si sottolinea che «nel 2019 un processo penale si chiudeva al Nord in 290 giorni (+9% rispetto al 2004), in 450 giorni al Centro (+23% rispetto al 2004) e in 475 giorni (+7%) nel Mezzogiorno». Quanto incidono i tempi di risposta della giustizia sulla crescita economica di un territorio? Le statistiche e gli studi degli esperti di impresa dicono che l’incidenza è elevata. Non è una novità che gli investimenti siano condizionati da fattori legati anche alle risposte della giustizia, in particolare ai suoi tempi. Diverse analisi hanno evidenziato la correlazione: in pratica, dove la giustizia non è rapida, gli investimenti e quindi le opportunità di crescita di un territorio calano.

In media si prende come riferimento questa proporzione: se la durata dei processi diminuisce del 10 % la dimensione delle imprese può crescere del 2 %. Nel Sud, e in particolare a Napoli e in Campania, i numeri impattano poi con un contesto segnato da un alto tasso di disoccupazione, da un diffuso clima di sfiducia nelle istituzioni, da istituzioni spesso assenti. Il che si traduce, a sua volta, in un maggior numero di contenziosi e in un più frequente ricorso alla giustizia. Risultato? Più indagini, più processi, più cause civili. Quindi anche tempi più lunghi di definizione dei procedimenti sia nel campo della giustizia civile sia nel campo di quella penale. Il problema, dunque, si sposta non solo sulla quantità ma anche sulla qualità dei processi. Al comune cittadino interessa avere una risposta di qualità dalla giurisdizione, deve poter contare su una giustizia celere ma anche giusta.

La politica, invece, in questo momento più che mai, è proiettata verso i nuovi standard indicati dal Piano di ripresa e resilienza, per cui l’obiettivo primario sembra essere la celerità delle decisioni più che la loro qualità. La vera sfida, tuttavia, è legata adesso alla riforma della giustizia e alla novità introdotta con l’Ufficio del processo. Si comincerà a febbraio 2022: gli addetti assunti nell’ambito del Pnrr entreranno in servizio infatti tra due mesi con il compito di studiare i fascicoli e redigere le schede riassuntive dei procedimenti e supportare il giudice in una serie di attività che vanno dalla bozza di provvedimenti semplici all’organizzazione di fascicoli e udienze, approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali, processi di digitalizzazione.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).