In carcere ha imparato "a rapinare meglio"
Il riscatto del “Milanese” Lorenzo S., da bandito a esperto in giustizia riparativa
Lorenzo S. fa da mediatore penale e sociale, esperto in Giustizia Riparativa. È entrato in carcere per la prima volta a 10 giorni, a 12 la prima rapina, a 14 i furti di Fiat 500, a 15 la prima reclusione all’istituto penale per minorenni Beccaria di Milano: vent’anni in tutto dietro le sbarre. Fosse per lui non sostituirebbe i penitenziari, “vorrei solo che si evitasse di segregarvi i tossicodipendenti, i malati psichici, le persone con disagi, i delinquenti non abituali. La detenzione non fa altro che aumentare il desiderio di riabbracciare il crimine”. La sua storia l’ha raccontata nel libro Io ero il Milanese, edito da Mondadori, scritto con Mauro Pescio dopo il podcast Rai realizzato con lo stesso autore e attore.
Il Milanese era entrato in carcere in braccio alla madre la prima volta, nel 1976, a San Vittore dov’era detenuto il padre per due rapine in banca. Era diventato Il Milanese dopo innumerevoli rapine, cinque arresti, almeno 25 processi, per un totale di 57 anni e 6 mesi di reclusione. I soldi li spendeva in “puttane. Night. Champagne Dom Pérignon e Cristal Roederer. Una Bmw 530. Moto Kawasaki Ninja e Honda Hornet – ha raccontato in un’intervista a Il Corriere della Sera – . Mi chiamavano ‘il bandito che veste Armani’. Negli assalti indossavo completi neri dello stilista, di lino in estate”. Si ispirava a Renato Vallanzasca. È stato detenuto a Milano, Cuneo, Alba, Novara, Matera, Alessandria, Catania, Bari, Piacenza, Bologna, Ravenna, Ferrara, Torino. In carcere ha imparato “a rapinare meglio”.
È libero dal luglio 2017. Se oggi si occupa di giustizia riparativa è “merito della giornalista Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, volontaria nel carcere Due Palazzi. Mi ha inserito nella redazione. Nel 2018 ho aperto a Padova il Centro per la mediazione sociale e dei conflitti, con l’aiuto del criminologo Adolfo Ceretti, il mio formatore, e dell’avvocata Federica Brunelli, giurista. Faccio incontrare i carnefici con chi ha patito i reati da loro commessi, per esempio con Agnese Moro, con Manlio Milani, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime di piazza della Loggia, con Giorgio Bazzega, figlio del maresciallo Sergio Bazzega, ucciso dal brigatista Walter Alasia”.
Cresciuto a Catania, si è diplomato in ragioneria in prigione, un figlio morto a causa di un tumore al cervelletto a tredici anni. Percepisce per il suo lavoro al carcere Due Palazzi di Padova uno stipendio di mille euro al mese. È proprio grazie al suo lavoro, dice, se può garantire che non tornerà più al crimine. Per anni non è riuscito a dormire bene la notte, soffriva di incubi, a causa dei suoi trascorsi. Non ha voluto firmare il libro che ha scritto e pubblicato: “Non per vergogna, né per paura. Volevo tutelare le persone che mi sono care. Non vivo mica in un reality show”.
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