Intervista al presidente del Consorzio
Il segreto della Patata della Sila, intervista a Pietro Tarasi: “Un ‘miracolo’ grazie a innovazione e associazionismo”
L’altopiano della Sila, nonostante sia un luogo selvaggio, sforna innovazione nel settore agro alimentare. Proprio lì, in Calabria tra le province di Cosenza e Catanzaro che nasce il Consorzio la patata della Sila. In poco più di 20 anni, dal 2002 a oggi, le patate silane si sono affermate come un prodotto di altissima qualità grazie alla capacità di mettere assieme i produttori locali aggregandoli, cosa che ha fatto emergere a livello nazionale uno dei prodotti più “genuini” nel panorama della filiera agro-alimentare italiana. Fin dagli anni ’50 i coltivatori calabresi hanno iniziato piccole produzioni di patate nella zona che va da Camigliatello Silano a San Giovanni in Fiore. Un luogo che subito si è dimostrato eccezionale per la coltivazione di questo tubero: temperature di alta montagna ma con una decisa escursione termica e con una posizione tra due mari. Luogo ideale per fornire alla coltivazione tutti gli elementi minerali utili, e i calabresi se ne accorgono ed è proprio in quegli anni che nasce il mito della patata della Sila.
Per lo più venduta nella zona e nei mercatini e derivanti da produzioni familiari, tutto ciò fino alla fine degli anni ’90 quando la crisi economica del settore impone una riflessione. Ed è a quel punto che la nuova generazione di agricoltori calabresi ha l’intuizione di fornire uno strumento di uscita dalla crisi attraverso l’associazionismo e quello che oggi si direbbe “fare rete”.
L’idea è quella che partendo da un prodotto “povero” come la patata, ma altamente riconoscibile come sapore, creare un modello di qualità e standardizzare il processo produttivo. Così nasce il Consorzio la patata della Sila che ha nella sua missione originale quella di porsi tra il coltivatore diretto e l’utente finale e questa idea coglie di sorpresa i coltivatori calabresi da sempre abituati a fare da soli.
Il modello ideato dal consorzio raccoglie via via sempre più associati che non avendo più l’onere di trovare i loro clienti e girovagare nei vari mercatini si possono dedicare solo ed esclusivamente alla coltivazione con attenzione verso i rigidi parametri imposti dal consorzio stesso. Ed è a questo punto che la patata della Sila si impone nel panorama della filiera agro alimentare. Un prodotto di partenza ottimo e un business model all’avanguardia. Cosi arriva la certificazione IGP e i consorziati superano quota 40, un balzo in avanti importante che porta ad oggi la patata della Sila ad essere conosciuta da un italiano su due e e percepita come incredibilmente “genuina”. E tutto questo in Calabria, una terra considerata “abbandonata”, non al passo con il progresso e dalla quale bisogna andarsene per potersi affermare. Ed è proprio questa percezione che fa gridare al “miracolo” e che permette una narrazione romantica della storia. Ma dietro alla la patata della Sila c’è molto altro. Innanzitutto un tessuto sociale e culturale, attorno all’Università della Calabria diventata nel frattempo uno degli atenei migliori in Italia che ha permesso la nascita di questi centri di altissimo valore tecnologico. È questo il vero segreto imprenditoriale del boom della la patata della Sila, tanto lavoro e tanta voglia di applicare tecnologia e innovazione a prodotti che localmente sono sempre stati consumati. E la patata della Sila non è l’unico esempio di imprenditoria calabrese che funziona. Per restare nello stesso ambito alimentare si pensi a “Sila Gum”, un’azienda che produce caramelle e che esporta in tutto il mondo oppure nella nuova frontiera dell’intelligenza artificiale dove uno dei massimi esperti Georg Gottlob ha deciso di trasferirsi a Paola in provincia di Cosenza e insegnare all’Unical. Per capire quello che molti definiscono “miracolo economico” abbiamo raggiunto telefonicamente Pietro Tarasi, presidente del Consorzio la patata della Sila.
Da un fatturato nel 2002 di poco più di 150mila euro, siete passati nel 2024 a circa 15 milioni, consorziando circa 80 aziende. Si può parlare di miracolo?
Ma più che di miracolo si deve parlare di lavoro, c’è stata molta fatica dietro questo successo che non era scontato, Nel 2003 quando siamo partiti era un percorso molto tortuoso, lungo e anche non scontato, perché partivamo da una situazione di crisi del comparto, crisi dell’agricoltura, crisi della montagna. Sicuramente era un prodotto che noi percepivamo come buono ma che non aveva nessun tipo di apprezzamento nei mercati veri. Già negli anni 50 la patata della Sila era conosciuta e veniva nominata come tale, come patata della Sila. Da lì è partito questo progetto, Il consorzio è stato fondato nel 2003. Nel 2010 abbiamo ottenuto il primo riconoscimento dal Ministero, nel 2011 dalla Comunità Europea, lì è partito tutto il percorso della patata della Sila, l’indicazione geografica protetta. Ci siamo attestati su un prodotto di qualità che avesse un prezzo non basso, ma un prezzo che riconoscesse la qualità. Parliamo quindi più di capacità imprenditoriali, di associazionismo attraverso tutti quanti i produttori locali, più che di miracolo.
La scelta del primo stabilimento consorziale in Sila, è stata soltanto una logistica oppure è stata anche una sfida per il futuro del territorio?
Il primo stabilimento è nato San Giovanni in Fiore. Abbiamo cominciato ad accentrare la produzione, oggi si aggira intorno ai 200 mila quintali. La scelta di San Giovanni in Fiore è stata fatta perché c’era già un capannone e da lì siamo partiti. La Sila è luogo di produzione da sempre delle patate, abbiamo iniziato con un piccolo sondaggio, commissionato allora dall’Unione Nazionale dei Patatecultori, e abbiamo visto che la patata della Sila era conosciuta da solo il 2% della popolazione italiana, gli ultimi sondaggi ci danno al 50%, questo significa che una persona su due conosce la patata della Sila, ed è un grande successo e un motivo di orgoglio.
Nell’immaginario collettivo c’è che la Calabria è una terra abbandonata. Questa descrizione contrasta con le realtà universitarie calabresi, con quelle agroalimentari e industriali del territorio. Come contribuisce il Consorzio a questo processo evolutivo e cosa ne pensa del pregiudizio sulla Calabria?
Il segreto del successo è dato da un prodotto che è fortemente integrato in un territorio, un territorio importante perché è un parco nazionale in una montagna, 1200 metri, fra due mari che in qualche modo influenzano, quindi l’importanza del territorio per un prodotto così è a dir poco fondamentale. La nostra patata è riconosciuta perché è riconoscibile. Partiamo dal presupposto che è il territorio che crea il prodotto e dobbiamo sfatare un mito, cioè il fatto che non si possa fare cooperazione. Siamo riusciti a fare rete, i produttori si sono adeguati agli standard qualitativi molto alti, abbiamo un’assistenza tecnica molto importante, abbiamo una rete anche di monitoraggio ambientale che è fondamentale per tutte le aziende. Quindi l’organizzazione, la coesione, la capacità di stare insieme, la capacità di dare valore al prodotto, questo sfata un mito della Calabria arretrata. Il nostro consorzio ha rappresentato un’opportunità per molti giovani. Circa 60 persone oggi lavorano in azienda durante l’inverno e molti di più nell’indotto, nelle aziende che hanno trovato la possibilità di investire nel futuro, perché hanno la certezza del mercato e anche la certezza della remunerazione. Facciamo molta ricerca, facciamo sviluppo, abbiamo investito molto nella comunicazione, quindi intorno a noi ruotano molte persone, molte attività, molto indotto, trasporti e quant’altro. Dalla Calabria partono due o tre camion al giorno. Diamo un piccolo contributo e forse anche un piccolo esempio, non necessariamente noi calabresi siamo condannati all’abbandono, se si ha un po’ di creatività, se si crea un progetto e si crede nel proprio lavoro. Noi siamo un esempio sicuramente eccezionale, in una terra dove invece molti esempi non ci sono, ovviamente non bastiamo noi, però partendo da noi forse si può ottenere anche altro. Nel momento in cui abbiamo pensato questo progetto ci siamo incontrati sulla crisi, crisi che significa cambiamento, siamo partiti da una crisi del compartimento, siamo partiti da una crisi anche di fiducia da parte dei produttori e partendo da lì ci siamo sforzati ad individuare un modello, guardandoci intorno, c’erano tanti modelli ma abbiamo fatto il nostro percorso originale, non ci siamo fermati semplicemente a copiare gli altri, ma abbiamo fatto il nostro percorso che è stato faticoso perché ha richiesto tanti sacrifici da parte delle aziende che in qualche modo hanno dovuto mettersi in discussione, anche mettersi in trasparenza perché una delle cose che abbiamo preteso subito è stato quello di mappare e tracciare il prodotto e quindi dovevamo in qualche modo individuarlo, tant’è che sui nostri sacchi ci sono dei QR code perché partendo da lì si può individuare l’azienda nella sua declinazione commerciale e anche territoriale, ma soprattutto il lotto di produzione viene individuato su Google Maps quindi abbiamo una certezza da dove viene quel prodotto. Questo è stato una grande assunzione di responsabilità da parte dei produttori che in qualche modo hanno creduto in questo progetto, si sono messi in discussione, si sono messi a disposizione, hanno fornito il loro prodotto, l’hanno messo nelle mani di un consorzio e oggi abbiamo tutti un valore.
Come mai il consumatore percepisce una differenza di sapore rispetto alle altre tipologie di patata?
Noi stessi ci siamo chiesti più volte il motivo, abbiamo fatto anche delle analisi. Sicuramente tra le caratteristiche che danno un sapore unico alla patata della Sila c’è il potassio, l’amido. Ogni volta che facciamo un panel test, anche anonimo, tutti quanti riescono facilmente a individuare il nostro prodotto. Sono tutta una serie di variabili, e tutta una serie di elementi, che sono quelli soprattutto territoriali e ambientali, innanzitutto l’alta montagna, un’acqua di montagna, quindi un’acqua pura, un’acqua che non ha inquinanti. E’ un luogo poco antropizzato, soprattutto abbiamo individuato un elemento fondamentale che è l’escursione termica e anche la quantità di luce. Noi crediamo che magicamente queste caratteristiche facciano la differenza. È un prodotto povero e noi lo trattiamo bene, ad esempio non lo laviamo, lo spazzoliamo per lo più, perché spazzolato mantiene quella terra che serve anche per garantire una conservazione maggiore, una conservazione più lunga, questo spazzolamento evita l’inverdimento perché protegge. Il nostro prodotto che forse non è bello da vedersi ma è buono a mangiarsi, è un prodotto magico, viene dalla terra, rimane nella terra, ma soprattutto va nel piatto e rimane nel piatto.
Una domanda sul futuro del Consorzio, pensate di intervenire sui mercati di quarta gamma, ad esempio anche valorizzando gli aspetti nutrizionali delle varie specie vegetali? Si dice che la patata Nicola sarebbe l’unica specie ammessa in alcune diete ai pazienti che hanno problemi di neoplasie.
La Nicola è un prodotto che noi già produciamo. Abbiamo intenzione di trasformare il nostro prodotto, stiamo partendo con alcuni progetti, stiamo lavorando e studiando su una trasformazione del prodotto pensando anche a qualcosa di originale. La ricerca di un valore aggiunto è nelle nostre intenzioni, ci si sta lavorando e come tutte le cose che abbiamo sempre fatto stiamo studiando approfonditamente il problema, perché non vogliamo improvvisarci, abbiamo una dimensione, una nomea che non ci permette di essere superficiali, dobbiamo essere all’altezza di quella che è la responsabilità che ci richiede il mantenimento di un marchio così importante come Patata della Sila.
Come mai il Consorzio non si è ancora aperto ai mercati esteri?
Noi produciamo a settembre-ottobre, quindi cominciamo in autunno e in quel periodo tutta l’Europa produce patata. Abbiamo già in Italia un prezzo importante, abbiamo una produzione che a malapena riesce a soddisfare il mercato italiano, quindi non abbiamo la necessità di affrontare mercati esteri perché non avremmo più valore. Siamo sempre stati importatori di patate, mai esportatori.
Negli ultimi anni avete fatto campagne di comunicazione, vi siete fatti conoscere al grande pubblico, soprattutto a quello non calabrese. Qual è il futuro di queste strategie? In quali settori del marketing state pensando di entrare?
Grazie ai contributi che abbiamo avuto dalla regione negli ultimi 6-7 anni siamo riusciti a focalizzare alcuni elementi di promozione. Innanzitutto televisione e radio per noi sono stati molto importanti, hanno fatto la differenza. La maglietta del Cosenza ha avuto una sua importanza e questo l’abbiamo visto. È chiaro che al momento è difficile sostenere questo livello per i prossimi anni se non abbiamo dei sostegni, perché è un prodotto povero che marginalizza poco. Immaginiamo però di seguire questa scia, di lavorare molto sulla grande distribuzione, sui media, televisione e radio che sono quelli che nonostante siano di vecchio conio hanno una loro validità. E poi molto sui social, però sui social al momento è sempre più difficile lavorare perché bisogna essere dinamici, non sempre si hanno quelle caratteristiche particolari, anche se le nostre immagini sono molto viste. Queste sono le linee di promozione che abbiamo individuato, poi è chiaro che ci sarà anche un’evoluzione della promozione, ci sarà anche un’evoluzione dei media e noi cercheremo di seguirla nel miglior modo possibile.
© Riproduzione riservata