Il Sudan rimane un abisso di caos e violenza. Le informazioni che giungono da Khartoum parlano di colpi di artiglieria e bombardamenti iniziati appena è terminata la tregua tra forze armate e milizie paramilitari. Un copione che si ripete da quando è iniziata la guerra civile: brevi cessate il fuoco che si concludono con nuovi spargimenti di sangue e che poi vengono riattivati solo per pochi giorni. Periodi in cui di fatto la guerra civile continua, con scambi di accuse su chi sfrutta lo stop ai combattimenti per prepararsi alla prossima violazione e per compiere atrocità sui civili. Questi, come in ogni guerra, sono le vere vittime sacrificali.

La “Bbc” ha messo in luce il dramma degli stupri, aumentati in modo esponenziale durante il conflitto e che prendono di mira madri rimaste sole ma soprattutto ragazze, spesso minorenni. Questo fenomeno colpisce in particolare la capitale, dove si concentrano scontri feroci tra le Forze di supporto rapido (Rsf) e l’esercito sudanese. A confermare la difficile situazione di Khartoum anche gli assalti denunciati da alcuni Stati africani contro le proprie ambasciate, oggetto di saccheggi. Anche in questo caso è difficile capire la responsabilità di questi atti, se siano, cioè, opera dei paramilitari o di unità dell’esercito.

L’anarchia che domina nel Paese rende impossibile comprendere anche come si muovono le fazioni in lotta. Preoccupa, inoltre, la situazione sanitaria, con il rischio che le organizzazioni internazionali e i programmi per gli aiuti alimentari siano definitivamente interrotti in assenza di condizioni di sicurezza adeguate. Lo testimonia anche l’allarme lanciato in questi giorni da “Azione contro la Fame”, secondo la quale sarebbero almeno 50mila i bambini malnutriti che al momento non ricevono più alcun tipo di cure specifiche. Le Nazioni Unite, dopo l’incontro che si è tenuto per il sostegno alla risposta umanitaria in Sudan, hanno annunciato che i donatori hanno concordato un piano di aiuti per un miliardo e mezzo di dollari. Ma l’anarchia che pervade il Paese rischia di bloccare la maggior parte dei progetti.

L’unica speranza è riposta in quei Paesi in grado di incidere sulle parti in causa, affinché trovino gli strumenti per far sì che ribelli ed esercito arrivano a una stabilizzazione. Tra questi, un ruolo di primo piano, come ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, potrebbero averlo gli Emirati Arabi Uniti e le potenze del Golfo, influenti in Sudan e nell’intera regione. Intanto, le violenze, la povertà e l’assenza di una prospettiva di pace alimentano inevitabilmente il flusso di persone in fuga. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha detto che ad aver lasciato il Paese sono circa 500mila persone, mentre solo i rifugiati interni sono due milioni. Si tratta di numeri enormi, che fanno comprendere la gravità della situazione in Sudan ma anche i rischi per i Paesi confinanti, che diventano la prima meta di coloro che fuggono dalla guerra. In Egitto, gli ultimi dati parlano di 250mila rifugiati sudanesi già presenti nel Paese. L’Unione europea ha annunciato aiuti al Cairo per 20 milioni di euro.

E intanto è esploso il caso dei visti richiesti dalle autorità egiziane per entrare nel Paese: molti rifugiati, infatti, sono scappati senza i documenti utili per ottenere il lasciapassare, con il rischio di famiglie divise al confine. Difficile anche la situazione in Ciad e in Repubblica centrafricana, dove alla già difficilissima condizione economica e politica in cui vivono questi Stati – basti pensare che nel secondo è stabilmente presente il gruppo Wagner – si aggiunge l’arrivo di migliaia di persone e l’inizio della stagione delle piogge. Un problema che, come spiegato da Medici senza frontiere, riguarda soprattutto la difficoltà logistica nell’accesso agli aiuti. Lo scenario del collasso di più Stati e dell’arrivo di una nuova ondata migratoria verso l’Europa anche attraverso la Libia rischia di essere sempre più concreto.

Lorenzo Vita

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