Ignorato o comunque dimenticato, il carcere in Italia continua a essere un luogo di morte. La “pena capitale” colpisce i più deboli nel corpo e nella mente. Ad oggi, nel 2020, di cui abbiamo da poco superato la metà, i decessi sono già 82, mentre nel 2019 erano stati in tutto 143 e nel 2018, 148. Se non si arresta questa atroce tendenza, a fine anno supereremo i 160 morti, con una media di una dipartita ogni due giorni circa. Il tragico fine pena dovuto a malattie, nella maggior parte dei casi contratte in detenzione o comunque non curate, rappresenta meglio di ogni altra circostanza – e ce ne sarebbero molte – l’invivibilità della maggior parte degli istituti di pena. La mancanza poi del rispetto della dignità dell’uomo è crudelmente rivelata dal numero dei suicidi che quest’anno sono già 29. Il dato dei suicidi relativo alla Campania è allarmante.

Ieri, a Poggioreale, si è tolto la vita un giovane di 39 anni e il giorno prima, a Santa Maria Capua Vetere, si è impiccato un detenuto di 40. Il 30 giugno, ancora a Poggioreale, si era suicidato un altro 39nne e il 10 maggio, sempre a Santa Maria Capua Vetere, un giovane di 28 anni. La catena era iniziata il 27 febbraio a Secondigliano, dove si era ucciso un 38enne ed era continuata ad Aversa con un uomo di 32 anni. Vite spezzate perché abbandonate da chi, invece, avrebbe il dovere di curarle per consentire il loro recupero sociale. Ma lo Stato nelle carceri è assente. Ed è assente per tutti come dimostra anche il numero di suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria. Un’assenza storica che ha le sue radici nella voluta ignoranza dei cittadini, disinformati e disinteressati. Una volontà politica che travolge i mass media che del carcere non si occupano e, se lo fanno, inducono a far ritenere che problemi non ce ne sono.

La Campania è in piena campagna elettorale e da tempo, sulle pagine dei quotidiani e in tv, vengono affrontati i temi della sanità e della scuola. Il carcere, però, è del tutto assente nonostante la Regione possa fare molto, investendo risorse umane ed economiche e facendo comprendere l’utilità di tali azioni anche ai cittadini liberi che ne avrebbero enormi vantaggi in tema di sicurezza. La “rieducazione” del condannato, prevista dalla nostra Costituzione, è un percorso non solo obbligato, ma soprattutto utile alla comunità intera. I candidati affrontino con coraggio quest’argomento scomodo, facendo finalmente un’operazione culturale tanto innovativa quanto dovuta dal 1948, anno della Costituzione.