Sembra un’altra era geologica quando Mario Draghi definiva Erdoganper quello che è, cioè un dittatore”. E certo non si poteva non pensare a quella frase pronunciata dal nostro premier appena sedici mesi fa – al prezzo di un gelo diplomatico mai visto prima tra Italia e Turchia – quando ieri Draghi marciava tutto d’un pezzo nel cortile d’onore del palazzo presidenziale di Ankara scortato da un corteo di uomini a cavallo mentre risuonavano l’inno turco e italiano. “Merhaba aster”, “Saluti soldato” ha detto Draghi rendendo gli onori alle bandiere e ai militari. O quando poi, in conferenza stampa, Erdogan ha detto di essere “molto contento di ospitare qui il mio amico Mario Draghi” e ha fatto pure le condoglianze per le vittime del crollo del ghiacciaio sulla Marmolada.

Miracoli della diplomazia. E della realpolitik. Il fatto è che sedici mesi fa Erdogan era un leader osservato con diffidenza e anche un certo fastidio per i suoi rapporti con la Russia, perché metteva – e mette – becco, cioè militari, in Siria, nel nord Africa e in Libia e s’è fatto d’oro a suon di miliardi che l’Europa gli dà ogni anno per trattenere nei campi flussi profughi in arrivo da oriente e dal sud del mondo.

Negli ultimi tre mesi è cambiato il mondo. E il sultano, che è nella Nato ma non nell’Unione Europea, grazie ai suoi rapporti trasversali si è trasformato da ranocchio a principe. Da problema a risorsa. C’è Erdogan al centro di tutti i dossier che contano in questo momento: è stato lui a sbloccare e dare il via libera per l’adesione di Finlandia e Danimarca alla Nato; è con la garanzia della Turchia e delle Nazioni Unite che ieri sono partite le prime navi che trasportano grano dal mar d’Azov e attraversano il mar Nero; è Erdogan il titolare del tavolo che più di tutti al momento sembra poter portare ad un embrione di accordo di pace tra Russia e Ucraina.

Erdogan centrale e garante. E quindi tutta Europa – e la Nato e gli Stati Uniti – si sono affidati al sultano turco. In cambio di cosa è il grande mistero di queste settimane. È però l’unica mossa da fare. Ed è stata fatta. Berlusconi aveva già scommesso le sue fiches, quando era premier, su Putin e Erdogan. Ieri sarà stato soddisfatto nel vedere che alla fine, dopo dieci anni, siamo tornati lì dove lui era già arrivato nel 2012.

È da allora che non c’era un bilaterale di questa importanza tra Roma e Ankara. Draghi è arrivato al palazzo presidenziale nel primo pomeriggio. Con lui mezzo governo: il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e per la Transizione ecologica Roberto Cingolani. Mentre Draghi ha parlato con Erdogan, i ministri hanno avuto i bilaterali con i rispettivi omonimi.

«Italia e Turchia sono concordi nel condannare l’invasione della Russia e nel dare sostegno totale all’Ucraina», ha detto Draghi seduto accanto a Erdogan al tavolo della conferenza stampa finale. Può sembrare un punto scontato ma nulla lo è in un quadro geopolitico sconvolto dalla guerra in Ucraina. Erdogan lo ha sottolineato: «Ha già detto tutto il mio amico Draghi…».
Le trattative per la pace, per fermare la guerra, sbloccare il grano ucraino e portarlo in Africa, approvvigionamento delle materie prime a cominciare dal gas, le gestione dei flussi migratori (triplicati gli arrivi in Italia dalle rotte da sud-est) e le continue tensioni in Libia sono stati la parte forte del menu del vertice intergovernativo. Draghi è consapevole di una cosa: Erdogan detiene per influenza e posizione geografica il pallino su quasi tutto e soprattutto del transito energetico da est o ovest. Ed è strategico anche per assicurarsi più gas liquefatto da rigassificare una volta giunto in Italia.

Guerra, grano, gas e migranti. Intorno a questi macrotemi sono state raggiunte intese importanti anche nel sostegno alle micro, piccole e medie imprese, dallo sviluppo sostenibile al riconoscimento delle patenti di guida. La scheda di sintesi conta quattro pagine e una parte importante riguarda lo sviluppo di import ed export. Già oggi la Turchia è il primo partner per l’Italia in Medio Oriente e Nord Africa. Nel 2021, l’interscambio si è attestato a 19,4 miliardi di euro (+28%), con esportazioni italiane per 9,5 miliardi (+23,6%). Le relazioni economico-commerciali non si limitano all’interscambio commerciale: gli investimenti diretti italiani in Turchia ammontano a circa 6 miliardi di dollari e, secondo i dati del Ministero del Commercio turco, le aziende con capitale proveniente dall’Italia in Turchia sono più di 1.500.

Il paese è anche un importante partner energetico per l’Italia: il gasdotto Tana (Trans-Anatolian Pipeline), che lo attraversa da est a ovest per poi collegarsi con la nostra Tap, rappresenta la terza rotta di approvvigionamento di gas per l’Italia dopo i flussi dall’Algeria e dalla Russia, con volumi in aumento del +62.5%.

La partnership sul comparto energetico è stato il secondo dossier trattato dai due leader. Il primo punto, molto delicato e su cui ognuno dei presenti secondo, per importanza strategica, è stato quello relativo alla ripresa delle consegne delle scorte di grano ferme in Ucraina e destinate per lo più all’Africa e all’est. Paesi dove la Turchia ha investito molto, insieme con la Russia, e dove non ha alcuna intenzione di sollevare una guerra civile provocata da fame e carestie. Draghi è stato molto chiaro: un accordo tra Russia e Ucraina sul grano “ha un importantissimo valore strategico” perché «nel complesso degli sforzi per la pace sarebbe un primo atto di concordia, un primo tentativo di arrivare a un accordo per un fine che deve coinvolgerci tutti perché ne va della vita di milioni di persone nelle aree più povere del mondo». Erdogan ha fatto capire che tra 8-10 giorni «potrebbero essere mature tutte le condizioni per la ripresa del commercio del grano».

Il presidente turco ha detto di avere molte “aspettative dall’Italia sulla lotta contro il terrorismo”, di essere soddisfatto «per i nostri rapporti commerciali ed economici che ogni giorno sono più forti visto che il volume del nostro commercio è aumentato 34 volte di più e quest’anno possiamo anche raggiungere 25 miliardi di dollari». Anche sulla Difesa sono stati raggiunti “accordi strategici” nelle fornitura, ad esempio, di sistemi d’arma e tecnologie. «L’Italia per noi è molto importante anche nel campo energetico, abbiamo diversi progetti in comune», ha sottolineato Erdogan. Un trionfo, se si sta alle dichiarazioni ufficiali.

E i diritti umani, settore in cui la Turchia non brilla? Draghi ha assicurato che «nella nostra conversazione abbiamo discusso anche dell’importanza del rispetto dei diritti umani. Ho incoraggiato il presidente Erdogan a rientrare nella Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne». Non una parola sul rispetto dei diritti del popolo curdo. O forse magari ne hanno parlato a cena. Lì, al palazzo presidenziale.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.