Il caso
Infermiere, da eroine a razza dannata

Non diamo la mano alle infermiere, in Italia. Meno peggio che in Francia, lì, a Farida, infermiera, in piazza a protestare per i diritti del personale sanitario, le hanno messo gli scarponi sulle mani, in faccia i manganelli, e invece delle carezze fra i ricci le hanno infilato artigli guantati per farle assaggiare la polvere, dopo la gloria tributatale nelle fasi più acute della pandemia. In Italia le infermiere sono più discrete nelle rimostranze, i ritocchi economici li chiedono con pudore. Così, sfacciatamente glieli negano. Erano stati promessi loro bonus generosi che a curva covid in discesa sono diventati elemosine.
Ma il trattamento economico non è il costume più mortificante, è che alle infermiere non si dà la mano: molte per mesi non sono tornate a casa, per non mettere in pericolo i famigliari o, tornando, si sono confinate in spazi minuscoli conducendo vite separate dai propri cari. I condomini, i vicini, hanno regalato sorrisi e saluti, solo da lontano, per tenere a distanza il male. E non è una vita facile, in ospedale i mostri bazzicano per tutti i giorni dell’anno, hanno nomi diversi dal covid, ma sono tanti, minacciano le infermiere e chi sta a contatto con loro. La loro professione le ha trasformate in una razza, quasi, verso cui utilizzare cautela, sempre.
Che poi sono uomini e donne, eppure, per un riflesso culturale, dove c’è assistenza tutto va declinato al femminile: che la donna assiste e l’uomo riceve le attenzioni. E infatti il termine più usato in tempi recenti, verso il personale sanitario, è eroine, l’immaginario si è fissato sulle donne che assistono, così pure le gigantografie, i post sui social hanno violato le regole sul genere e si sono indirizzati a loro, sempre e solo infermiere pure se erano dottoresse, o.s.s., infermiere generiche o laureate, addette alle sanificazioni, operatrici tecniche. L’emergenza non è durata così a lungo da erigere loro statue, e statue dedicate alle donne, in genere, non è che ce ne siano tante in giro, pure per buttarle giù come un Montanelli qualsiasi, che se avesse brutalizzato un bambino non ci sarebbe stata una statua su cui discutere, e non ci sarebbero stati né usi né costumi, né epoche o anni ad attenuarne l’orrore che riesce invece a trasformare in donna una bambina: buona ad assistere, accudire, servire il guerriero.
Fare l’amore con le infermiere è solo una leggenda metropolitana, per quanto sorridano, siano dolci, nelle corsie sono ricoperte dai nostri odori, umori, assorbono i nostri dolori, e con loro non siamo mai eccessivamente ossequiosi: di solito le trattiamo come il personale di un albergo, e se non sono leste a servirci, velocemente le ammoniamo col mantra dell’italiano medio, mediocre: “con le mie tasse le pagano lo stipendio”. Sì, è una fortuna che le infermiere in Italia non siano decise nelle rimostranze economiche. Come in Francia, come per Farida, sarebbe l’occasione giusta per accorciare le distanze fisiche, per sbattere loro la mano, da una parte qualunque.
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