Forma poco più che un capannello la gente sotto le insegne della Brigata Ebraica. Una penuria di partecipazione che tutti attribuiscono a una causa esclusiva: la paura. Un sentimento che appariva tutt’altro che ingiustificato passeggiando, ieri, lungo quel breve tratto di Corso Venezia, a Milano, dove appunto erano issate quelle insegne sparute in un mare di simboli ora semplicemente diversi, ora francamente ostili.

Vicine e solidali con quelle recanti la Stella di David c’erano le bandiere di +Europa, di Azione, di Italia Viva. Il sindaco Beppe Sala si teneva a distanza, rilasciando interviste, stringendo mani e distribuendo sorrisi all’ombra di una bandiera evidentemente più appropriata, la bandiera palestinese.

La banda, davanti a lui, suonava Katjuša, mentre da un megafono poco lontano partiva un’altra musica, quella ormai abituale nelle università ma riadattata per l’occasione: “Fuori i sionisti dal corteo”.

Poco più avanti, verso l’incrocio con quelli che ormai soltanto i più anziani chiamano “I Navigli”, un gruppo più denso adunato attorno a un altro striscione: “Dal Donbass alla Palestina – Liberazione dalla Nato assassina”.

Di lì a poco quella parola, “assassina”, in desinenza opportuna e con guarnizioni ulteriori si sarebbe rivolta contro chi oltraggiava il 25 aprile “antifascista” esponendo i segni della Brigata Ebraica: “Fate schifo, assassini di merda”, “Levatevi dal cazzo, luridi assassini”, “Assassini bastardi” erano gli strilli che erompevano con equanime trasversalità sociale e generazionale dalle gole adolescenti bardate di kefiah e dall’indignazione delle mamme e dei papà abbigliati da passeggio domenical-meneghino.

Alcuni, fieri, gridando rammostravano il dito medio ai figli della Shoah che passavano loro davanti, una in lacrime; poi, ancora erubescenti per quella ginnastica, si scambiavano congratulazioni: “Gliele abbiamo dette tutte a quei bastardi”.

Non è la prima volta che a Milano, come altrove, il 25 aprile registra – tra le altre del tutto pacifiche, e condivise in spirito comunitario – anche queste benedizioni in stile Kristallnacht, coi bei roghi tradizionali delle bandiere israeliane e con la puntuale chiassata al passaggio dei testimoni della Brigata Ebraica.

Ma ieri la contestazione (chiamarla così è abbastanza improprio) denunciava in modo plateale i tratti genuini di un risentimento più profondo, i segni di un odio più cieco del solito: perché per quanto ignoranti, per quanto disinformati, per quanto ideologizzati, i responsabili di quegli insulti e i felici dispensatori di quegli strilli sapevano perfettamente di “incolpare” delle persone senza nessuna colpa tranne che quella di appartenere a un popolo e di testimoniarne la tradizione proprio quel giorno, vale a dire nell’anniversario della Liberazione alla quale tanti ebrei parteciparono. Si è trattato dello stesso meccanismo che, giusto qualche settimana fa, portava un energumeno ad aggredire due ebrei, un vecchio e un bambino, davanti alla scuola ebraica di Milano: due inermi cui quel teppista imputava solo e soltanto quella colpa, di essere ebrei.

Tutto questo avviene, si noti, con la colonna sonora di una giustificazione anche più inascoltabile, e cioè che certi episodi vanno ben compresi considerando quel che succede dal 7 ottobre in qua (anzi dall’8, perché il Sabato Nero è bello che archiviato).

È quella giustificazione a dar voce a certi urli antisemiti, a moltiplicare gli insulti osceni che si levavano da quei cortei presidiati da forze dell’ordine chiamate a proteggere gli ebrei nel Paese che ha scritto le leggi razziali.

Uno spettacolo che aveva placido corso mentre il servizio pubblico radiotelevisivo – altra gemma che impreziosiva impagabilmente la scena di questo 25 aprile 2024 – faceva cronaca sulla Brigata Ebraicascortata da uomini vestiti di nero”.

Il congruo presidio fascista, insomma. Che fossero in pochi a portare quei simboli vituperati è dunque drammaticamente comprensibile, e dovrebbe essere questa la notizia. Non sarà così.