Le dimissioni di Nicola Zingaretti e il terremoto politico che si è aperto nel Partito democratico. Il Riformista ne parla con Enrico Morando, già vice ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni. Un “riformista” dem doc. «A Zingaretti dico: per me non è mai stata questione di poltrone ma di linea politica. Il Pd si rilancia se si fa promotore di una grande costituente dei riformisti. Ne ero convinto con lui segretario e resto dello stesso avviso se darà attuazione all’annuncio delle sue dimissioni».

«Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni». È l’incipit, durissimo, della nota Facebook con cui Nicola Zingaretti preannuncia le sue dimissioni da segretario del Pd.
Per quel che mi riguarda, la raccolta de Il Riformista e de Il Foglio di questi ultimi sei mesi, per limitare la cosa temporalmente, è la migliore testimonianza che il sottoscritto ha sempre parlato di strategia politica, di linea politica, di funzione del partito e mai né di poltrone né di primarie, né ho partecipato alla discussione, che pure c’è stata in questi giorni, sul fatto se il segretario si deve dimettere o no. Ho sostenuto e continuo a sostenere che la strategia politica che abbiamo seguito, e anche attraverso le pagine del Riformista ho cercato di argomentare perché io considero quella linea radicalmente sbagliata e da cambiare, sostenendo l’esigenza, anche al fine di approntare meglio la fase che si è aperta con la formazione del governo Draghi, che il Pd si faccia promotore di una grande costituente del riformismo italiano, lasciandosi alle spalle questa fase di divisioni e di rotture, che è cominciata con la scissione di Bersani e continuata con la scissione di Renzi, creando una situazione nella quale il Pd ha finito per non mantenere la promessa che aveva fatto, cioè essere la casa comune dei riformisti. Per questo ho sostenuto e argomentato nell’articolo che ho inviato nei giorni scorsi, e dunque in tempi non sospetti, al suo giornale, la necessità di dar vita, definizione non mia ma di Giorgio Tonini, a una nuova costituente del riformismo italiano, nella quale affrontare il complesso dei problemi che abbiamo di fronte e soprattutto grazie alla quale ricostruire l’unità dei riformisti, cioè di quella realtà che almeno all’origine del Pd si era determinata e che poi si è progressivamente logorata, in particolare per responsabilità di due scelte di rottura che sono venute da due dei segretari del Partito democratico stesso. Non so di chi parli Zingaretti, ma certamente non parla della posizione nella quale io mi riconosco. La costituente del riformismo volevo e la costituente del riformismo intendo continuare a sostenere a prescindere da quello che decide di fare Zingaretti.

Non c’è il rischio di una implosione del Pd o di un Congresso che si riduce a una devastante resa dei conti interna?
Io penso che se si seguisse la strada che ho cercato di proporre, e cioè avviare immediatamente una fase nella quale il Partito democratico, con generosità e con determinazione, apre il confronto con tutti coloro che si riconoscono in una vasta e articolata area liberal democratica, potremo davvero compiere un salto di qualità di cui gioverebbe non solo il partito ma il Paese. Penso a un partito che abbia al proprio interno le due posizioni che ci sono in tutti i grandi partiti a vocazione maggioritaria…

Vale a dire?
Una posizione di sinistra socialdemocratica più tradizionale e una posizione più esplicitamente liberale di sinistra, quindi liberaldemocratica, liberalsocialista. Io penso che questo processo costituente era necessario per fare uscire il Pd dalla situazione di difficoltà in cui stava, con Zingaretti segretario e se Zingaretti si dimette diventa ancora più necessario e urgente. Questo è il modo per evitare l’implosione del Partito democratico, l’esaurirsi della sua stessa esperienza. Anzi, è un modo per rilanciarla nel nuovo contesto creato dalla formazione del governo Draghi che io continuo a ritenere essere un passo in avanti molto grande rispetto alla situazione precedente.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.