Se Nicola Zingaretti voleva la grillizzazione del Pd, allora lo straordinario risultato ottenuto lo farà passare alla storia come un genio politico. Se invece immaginava l’opposto, fare del movimento di Grillo una forza rieducata dal Pd, allora il giudizio della storia sarà rovesciato, e lui vi comparirà come un po’ sprovveduto, se non peggio. La ragione di questa premessa sillogistica sta nel fatto che nessuno può dubitare che il M5s sia stato, nelle sue origini, un movimento che ha costruito la sua fisionomia e il suo successo sulla immagine del populismo più schietto, e anche più becero. Dunque, aut-aut, o il Pd è carnefice o è vittima felice, e io credo che sia avvenuto proprio questo, vittima felice con sindrome di Stoccolma applicata alla ”politica”, e metto tra virgolette una parola troppo nobile per essere utilizzata, in questa congiuntura, senza di esse.

Zingaretti ha anche le sue ragioni, però: erede del Pci, ma senza il Pci, ne ha tratto i succhi in parte nascosti dalla diversa congiuntura e dalla qualità di quella che era la sua classe dirigente. I succhi peggiori: palingenesi, “diversità” dei comunisti, giustizialismo e altro; che però spiegano un fatto che può apparire misterioso: l’adesione, sembra, del “popolo” del Pd alla politica schiettamente populista del governo in carica fini a ieri, oggi dal destino ancora incerto per merito di Matteo Renzi, non a caso disarcionato dal fuoco amico negli anni della sua segreteria e del suo governo. “Avanti con Conte” è parola d’ordine che rappresenta al meglio quella sindrome di Stoccolma.

Insomma, il populismo è al governo in Italia, con tutte le sue caratteristiche: disprezzo per il Parlamento dei ”poltronisti”, come furono chiamati i parlamentari al tempo della riduzione del loro numero; nessuna idea di Italia e del suo futuro, incapacità assoluta di programmarlo come mostra l’incredibile vicenda del Recovery fund; statalismo burocratico senza Stato; accettazione supina del “proporzionale”, secondo dettato del Movimento 5S; Presidenza del Consiglio affidata a un signore dai comportamenti inquietanti e affabulanti, allievo politicamente di Di Maio, e dal nulla da cui questo signore proviene; rigetto del Mes, vera chiave di volta dell’antieuropeismo strisciante e pronto a tornare alla prima occasione; simpatie trumpiane mai smentite e anzi dominanti fino alla sua sconfitta; ministri diffusamente incompetenti, spesso oltre il limite del grottesco; inefficienza totale del governo con una miriade di decisioni prive di decreti attuativi, e dunque inesistenti, tema sul quale consultare Sabino Cassese, grande e polemico esperto in materia; informazione largamente asservita, e mi fermo qui per non parlare del tragico governo della pandemia.

Ora si era data l’occasione, per il Pd, di far sentire la propria voce in occasione della crisi aperta da Italia viva, senza nemmeno bisogno di accettarne tutta la logica. Ma il Partito pensa solo a gettar fango su Matteo Renzi, che, qualunque sia l’esito della sua azione, ha avuto il merito di scuotere lo stagno e mettere in difficoltà i grilli parlanti che lo popolano. La fusione tra Pd e 5Stelle giunge al suo massimo, perfino nel linguaggio politico corrente, con l’appoggio pieno e fidente dell’ala sinistra del governo, che si riconosce nel nome di Leu.

Tutto questo in una fase di mutamenti drastici della struttura del mondo, di molte delle sue forme organizzate e di crisi tragica dell’Italia e dell’Europa, una situazione in cui la cultura e la serietà della classe dirigente diventa decisiva. Quando si scrive, nel finale giunge spesso qualcosa che somiglia a una speranza; in questo caso, non certo di un moto collettivo che appare assai improbabile, ma di un coinvolgimento, per dir così dall’alto, di grandi personalità per la salvezza dell’Italia. Contro la cultura dominante, ecco quello che sarebbe il miracolo. Ma la storia è fatta anche di queste cose, in fondo essa è il regno dell’imprevedibile. Confidiamo in essa, nei momenti di pericolo può prevalere la ”storia ideal eterna”, non quella che “corre in tempo”, avrebbe detto Vico. De consolatione philosophiae.