Il terremoto continua e si arricchisce di eventi che erano difficilmente prevedibili. Giunge oggi l’annuncio delle dimissioni di Nicola Zingaretti che solo qualche giorno fa aveva negato la possibilità di un congresso: le nuove primarie si sarebbero svolte nel 2023. Fino ad allora nulla poteva essere messo radicalmente in discussione, e dunque perciò il congresso era escluso. Quando un personaggio che è stato al centro, per anni, della politica italiana, segretario eletto di un partito come il Pd, prende una decisione sicuramente per lui assai dolorosa, la prima cosa, per chi commenta, è di rispetto umano.

Non bisogna mai perdere, o abbandonare alle ortiche, la dimensione civile della politica, il rispetto per chi, dal di dentro di un groviglio di vicende, decide di uscirne, di tagliare il nodo, di riconoscere che le cose non sono andate come lui auspicava e sicuramente prevedeva, e questo da un luogo centrale di responsabilità. Ma ciò detto con vera convinzione, il rispetto dovuto non può far da velo al giudizio politico che è molto netto: la fine dell’era Conte continua a mietere vittime, per fortuna nel senso metaforico di questa espressione. Che ciò avvenga, è conseguenza anzitutto dell’incredibile credito che si era regalato all’avvocato fiorentino, e Zingaretti è stato uno dei principali responsabili di questo, forse il principale, anche per l’autorevolezza della sua collocazione politica, segretario del Pd nientemeno. Conte, l’avvocato del popolo, punto di equilibrio della democrazia italiana; Conte o il voto; Conte o il caos, espressione che era stata usata, si sa, per ben altri confronti. Conte federatore, lo scettro consegnato nelle mani di chi, fino a poco tempo prima, era stato Presidente del Consiglio con la Lega di Salvini, nel momento più rigido e duro della sua direzione politica.

Raccontata così la vicenda, si stenta a crederla, eppure è vera. Ogni ulteriore commento è superfluo e forse si capisce la decisione politica di Zingaretti, vittima della fine di un’era. Che peraltro rischia di ricominciare, in altra forma, si sa, con Conte capo dei 5 Stelle in grado di assorbire ciò che resta del Pd, suo mentore entusiasta, e che sembrava pronto perciò al sacrificio. Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle si dileguava nella società, mostrando subito i limiti della capacità di governo di un movimento nato dalle urla piazzaiole di un comico, pur rese possibili dalla crisi verticale dei partiti storici, e soprattutto dall’irruzione del populismo in forma italiana. Populismo? Populisti? Ma che importa!

E che importa l’affermarsi di una cultura dissennata, segnata dal disprezzo documentato per lo Stato di diritto e per il Parlamento dei “poltronisti”; dai no vax fino all’altro ieri, virus permettendo; da un giustizialismo manettaro; da un assistenzialismo sconfinante nel disprezzo per lo sviluppo; dal rifiuto delle grandi opere, che importa? Che importa, insomma, la fine di una prospettiva riformista? Eppure non era questa la finalità del Pd, al suo atto di nascita? Bastava per rinunciarvi la minaccia dell’uomo nero? Della Lega in agguato? Bastava uno stentato “europeismo” dell’ultima ora, di chi aveva abbracciato pochi mesi prima, in Francia, i Gilet gialli, oggi Ministro degli esteri? Ma si sono perduti i lumi? O la sinistra ha preso a raccogliere i residui peggiori della propria storia, del proprio “populismo” ripensato e degradato a livello della Piattaforma Rousseau? Anche immaginando un governo con i 5 Stelle, avrebbe dovuto lui, il Pd, prenderne la direzione, è avvenuto il contrario.

Il terremoto in corso obbliga a un riesame di tutto ciò che è accaduto, sotto la protezione, per dir così, di Mario Draghi, per una specie di tregua mentale che permetta a tutti di ripensare lo stato delle cose e le prospettive per il futuro, con la pandemia in pieno corso. Soprattutto si immagina, per restare nella cerchia dei partiti, che sia il Pd a dover procedere a un ripensamento serio di tutto ciò che è accaduto, alla riconquista di una prospettiva di riforme, di una idea di Italia con le alleanze necessarie, con lo sguardo rivolto al paese in uno sforzo di rimettere in moto una opinione pubblica frastornata dagli eventi e che rischia di cadere in nuove trappole preparate, peraltro, da dissennate direzioni che sembrano oggi mettersi da parte. Il futuro è molto incerto, grande la confusione sotto il cielo.

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