Parla il regista
Intervista a Silvano Agosti: “Abbandonato dalle istituzioni, l’Azzurro Scipioni rischia di chiudere”
A breve compirà ottantatré anni, ma lo spirito di Silvano Agosti è ancora integro. Nastro d’argento alla carriera nel 2019, autore, cineasta, documentarista, scrittore, la sfida è sempre stata quella di non omologarsi, di non cedere al mediocre prestabilito, di perseguire una libertà che significa esser messo ai margini dal sistema perché scomodo.
Dopo essersi diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Agosti nel 1967 firma la regia del lungometraggio Il giardino delle delizie, pellicola invitata all’Expo universale di Montréal come uno dei dieci migliori film prodotti nel mondo in quell’anno, ma duramente censurato in Italia.
La censura non lo intimorisce e negli anni successivi racconta le contestazioni sessantottine, la resistenza greca del ’73 e il delicato tema della pazzia, ispirato dalle teorie dell’amico Franco Basaglia. Gira tutti i suoi trentasei film senza troupe e tre li trae dai suoi libri L’uomo proiettile, Uova di garofano e La ragion pura, con cui vince il Globo D’Oro. La difesa del cinema d’autore e l’impegno civile sono per lui prioritari. Quando produce Il pianeta azzurro, pellicola accolta positivamente al Festival del cinema di Venezia nel 1982, le sale cinematografiche romane gli chiudono le porte in faccia, decide allora di proiettarlo in un cinema porno. Ma Rossellini infastidito dagli elevati incassi del film, lo fa escludere dalla programmazione. Agosti apre l’Azzurro Scipioni, la casa del cinema d’autore, luogo di ritrovo, di confronto, di crescita, dove generazioni hanno coltivato per decenni la passione per il cinema e il pensiero libero. Oggi però l’Azzurro Scipioni, a seguito delle norme anti covid, rischia di chiudere.
Come conobbe il cinema?
La mia era una famiglia povera, ero l’ultimo di sei figli, mio papà lavorava in un posto dove c’erano delle macchinette super otto e ci fece vedere Charlie Chaplin. Così a cinque anni mi innamorai di Charlot, mi sembrava l’unico adulto a posto.
Fu dura vedere il suo “Il giardino delle delizie” censurato?
L’Italia è un paese cattolicizzato, ha assorbito a livello politico tutti gli aspetti peggiori della religione. La religione è divenuta uno strumento di dominazione e manipolazione e ciò si esprime anche con la censura. La religione ha un grosso potere, nella storia infatti tutti i dittatori con un minimo di intelligenza, prima di prendere il potere, si sono accordati con la chiesa.
Lei ha raccontato le contestazioni giovanili del ’68.
Ho filmato quello che accadeva perché mi attraeva che i giovani iniziassero a interessarsi della propria libertà. Poi il potere confezionò la trovata dell’affare Moro con la quale chiuse la bocca del vulcano e tutto il movimento si fermò. Col documentario Ora e sempre riprendiamoci la vita (2019) ho finalizzato il lavoro svolto nel decennio 68/78 grazie anche alle testimonianze di Mario Capanna, Dario Fo e Franca Rame, Bruno Trentin, Alberto Grifi, Pietro Valpreda.
Ha dato ampia visibilità anche al tema della pazzia e alle teorie di Franco Basaglia con la pellicola “Matti da slegare”.
Franco era un caro amico, punito perché teorizzava l’eliminazione degli ospedali psichiatrici, e proprio sugli ospedali psichiatrici, che lui giustamente condannava, prosperavano città e villaggi. Spesso gli davano in ritardo lo stipendio e lui veniva a mangiare da me. Dopo il terzo invito consecutivo stabilimmo che lavasse i piatti. Mi riempie d’orgoglio pensare che quel film abbia contribuito alla chiusura dei manicomi.
Lei ha dichiarato che il suo amato cinema, quello fatto di immagini e di mistero è in esilio da più di mezzo secolo oltre i confini dell’industria e della mediocrità.
L’industria ha distrutto il cinema, si è inventata la troupe, il regista, il produttore. Ma tutto questo non c’entra nulla col cinema, il cinema è là dove esiste un autore, non un regista. Il regista è solo uno che accetta di non occuparsi della fotografia, di non occuparsi del montaggio o di altri compiti. Il cinema industriale è un cinema usa e getta, che segue sempre la solita trama e che ha l’unico scopo di distrarre le persone per un paio d’ore dalla propria disperazione. Il cinema di valore non ha bisogno di trama, ha bisogno di immagini.
Come si può difendere il cinema d’autore?
Se fossi un legislatore stabilirei che tutte le strutture con più di due sale ne riservassero una al cinema d’autore, ma credo che verrei subito licenziato perché ostacolerei gli interessi economici che da lungo tempo adombrano la cultura. Nel mio piccolo ci ho provato con l’Azzurro Scipioni proiettando solo capolavori della storia del cinema.
Può raccontarci come è nato questo progetto?
Quando produssi Pianeta azzurro le sale cinematografiche non volevano proiettarlo. Essendo il mio lavoro più ingenuo, puro e infantile pensai allora di proiettarlo in una sala a luci rosse. Ebbe un grande successo che infastidì il figlio di Rossellini che lo fece sostituire con un altro film. Allora aprii l’Azzurro Scipioni per poter proiettare il cinema d’autore senza costrizioni.
Il suo romanzo “L’uomo proiettile” fu finalista al Premio Strega, ma la critica lo ignorò.
I critici non potevano osannarlo apertamente, la critica era al servizio dell’industria libraia e io ero al di fuori di quelle dinamiche.
Nel 2009 propose all’Unesco di proclamare l’essere umano come patrimonio dell’umanità. Era una provocazione la sua?
Il mio voleva essere uno stimolo per rimettere al centro l’individuo, il mondo sta dimenticando che l’essere umano è il capolavoro più grande che la natura ha fatto in milioni di anni e anche il più temuto dal potere.
Qual è la situazione attuale dell’Azzurro Scipioni?
Tempo fa scrissi all’assessore alla cultura Luca Bergamo. Qualche giorno fa mi ha risposto tranquillizzandomi che avrebbe provveduto al pagamento dell’affitto della sala. Ho tirato un sospiro di sollievo, ma due giorni fa la Raggi lo ha cacciato.
Negli anni passati era stato sostenuto dalle istituzioni?
L’unica cosa che devo alle istituzioni è esser stato relegato nella clandestinità, quando si instaura una dittatura ogni persona ha il dovere di diventare partigiano, di costruirsi una clandestinità nella quale cerca di modificare il proprio rapporto col mondo.
E dal mondo del cinema?
Le personalità del cinema hanno fatto fatica a capire quello che dico del cinema industriale, ma alcuni come Bertolucci, Bellocchio, Antonioni hanno amato segretamente l’Azzurro Scipioni.
Visto l’epilogo che sembra stia arrivando, rimpiange i sacrifici fatti per una vita?
No, gli sforzi e le difficoltà affrontati per quarant’anni non mi sono mai pesati. Ero sorretto dalla forza di questa idea, che ci sia una sala dove il cinema d’autore abita.
C’è un colpevole che dovrà portare sulla coscienza il peso di questa chiusura?
Le istituzioni che a colpi di scellerati Dpcm stanno distruggendo i cinema, i teatri e tutte le piccole realtà indipendenti del mondo dell’arte e non solo, non permettendogli di lavorare.
Cosa pensa del fatto che si sta facendo di tutto per far andare in onda Sanremo con il pubblico, mentre non ci si preoccupa che teatri e cinema restino chiusi?
La logica industriale è una logica delinquenziale, nemica dell’uomo, il fatto che l’industria si industri per fare delle corbellerie è ultra noto.
Alla soglia degli ottantatré anni cosa vede all’orizzonte?
Come tutte le persone nobilmente emarginate punto su quello che accadrà dopo di me. Credo che dopo che morirò i miei film, che sono disgiuntivi rispetto alla pratica normale, circoleranno all’impazzata. Nel frattempo, vivo la mia piccola eternità; il mio presente l’ho arricchito di due confini, va dall’alba al tramonto.
© Riproduzione riservata