Al punto 85 della propria decisione del 26 Gennaio scorso la Corte Internazionale di Giustizia manifestava grave preoccupazione per “il destino degli ostaggi rapiti durante l’attacco in Israele del 7 ottobre 2023” e, ricordando che tutte le parti in conflitto “sono vincolate alla legge del diritto internazionale umanitario”, chiedeva il “rilascio immediato e incondizionato” dei rapiti. Continua a essere la sezione, diciamo così, meno frequentata di 27 pagine giudiziarie consultate, perlopiù, alla ricerca fremente della parola “genocidio”. Allora erano 100 giorni e rotti dal Sabato Nero.

Erano 226 l’altro ieri, quando la preoccupazione per la sorte degli ostaggi faceva nuovamente capolino tra le righe di un’altra retorica togata, lo statement del procuratore della Corte Penale Internazionale che comunicava la propria richiesta di arresto di Netanyahu, del ministro Gallant e di tre capi del terrorismo palestinese. “Nulla”, ha detto Karim A. Khan, “può giustificare la presa di ostaggi”. Ma anche questa parte del suo annuncio, come fu nel caso della decisione emessa dalla Corte dirimpettaia, è recessiva in faccia a un uditorio per cui i rapiti del 7 ottobre rappresentano tutt’al più il noioso corollario di una vicenda che ha ben più urgenti profili di interesse.

I resti di Shani Louk

Salvo quando gli ostaggi tornano a essere notizia, ma fuggevole, nel momento in cui se ne ritrovano i resti: com’è successo sabato con quelli di Shani Louk, la ragazza cui avevano spezzato le gambe per farla stare bene sul pick up che la portava a Gaza in un immortalato trionfo di risa e sputi. Il fatto è che, nelle piazze occidentali, degli ostaggi ci si è più che altro occupati facendo repulisti dei volantini con le loro facce e i loro nomi: un fatto su cui ognuno può esercitare come crede il proprio giudizio civile, ma resta un fatto.

Tanto appariscente quanto è invece sperduto il caso di manifestazioni rivolte a tener viva la memoria di quella gente tenuta prigioniera (altro fatto abbastanza trascurato) nei tunnel costruiti con i soldi della cooperazione internazionale. Non ha torto l’ex portavoce del governo israeliano, Eylon Levy. Ha detto che “Riportateli a casa, ora” (Bring them home, now) è la richiesta che gli israeliani devono rivolgere al loro governo, ma ha aggiunto che dal resto del mondo dovrebbe arrivare una richiesta diversa, una richiesta da rivolgere al regime terrorista: “Liberateli, ora”. È un fatto che il resto del mondo non sente l’urgenza di fare quella richiesta. È un fatto che quegli ostaggi sono ebrei.