Che cosa succede, se il legislatore affronta il problema della corruzione un po’ come si fa con le temperature estive? Inutilmente gli scienziati ti spiegano che non esiste il “calore percepito”, esiste una colonnina che ti dà i gradi giusti. Ma c’è sempre qualcuno che ti convince del contrario. E, poiché poi uno vale uno, la tua percezione finisce con il sembrarti più importante di quella del meteorologo. La storia della corruzione in Italia, non solo per l’opinione pubblica, ma addirittura per il legislatore, è un po’ così. C’è quella “percepita”, che spesso ispira chi governa e chi scrive le norme. E che è una bufala, così come la reputazione dell’Italia come uno dei Paesi più corrotti del mondo. Non è così, e ce lo spiega, anche con numeri e dati, uno “scienziato” del diritto, il professor Beniamino Caravita, nella sezione Norme e Tributi del Sole 24 ore di ieri.

Ci sono norme scandalose e palesi, soprattutto perché sono state la bandiera di un partito e di un ministro, come la legge del 2019 che fu definita, perché insieme al colto fosse chiaro anche all’inclito, “spazzacorrotti”. Che subì poi a sua volta la ramazza, perché fu in gran parte spazzata via dalla Corte Costituzionale. Ma chissà in quanti se ne saranno accorti. Ma ci sono norme più subdole, e anche Istituti che già nella denominazione rivelano la distorsione culturale, come per esempio l’Anac, l’ente di controllo la cui sigla significa Autorità Nazionale Anti Corruzione. Una definizione voluta non da un ministro come Alfonso Bonafede, ma dal governo presieduto da Matteo Renzi, che volle personalmente al suo vertice un magistrato come Raffaele Cantone. Non più quindi una Commissione per la trasparenza della pubblica amministrazione o una semplice Autorità che vigilasse sui contratti pubblici, ma un organismo di contrasto alla commissione di specifici reati. Il sintomo di quell’ossessione di vedere ovunque l’illegalità che va sotto il nome di “panpenalismo”.

Prendiamo per esempio il codice degli appalti. Il professor Caravita segnala la cultura di tipo emergenziale che ne ha ispirato in particolare l’articolo 80. La costante interpretazione della giurisprudenza è orientata a fare escludere da una gara pubblica operatori economici sulla base del solo sospetto della commissione di illeciti, senza che ci sia neppure una sentenza di condanna di primo grado. È pura presunzione di colpevolezza. Infatti in professor Caravita vi vede la violazione di almeno due articoli della Costituzione, il 27 sulla presunzione di innocenza e il 41 sulla libertà di iniziativa economica. Se Matteo Renzi, del cui neo-garantismo non abbiamo motivo di dubitare, ogni tanto volgesse lo sguardo all’indietro, o se semplicemente quando è stato premier avesse consultato qualche giurista fuori dall’ambiente dei cosiddetti magistrati “antimafia”, forse sarebbe approdato nella cultura liberale anche prima che venissero inquisiti i suoi genitori e lui stesso. E si sarebbe convinto della bestialità di arrivare a estromettere da una gara la società i cui vertici sono stati rinviati a giudizio. Ed è qui che aiutano i dati. Anche se non sono quasi mai numerosi, aggregati e completi. Perché gli organi competenti non li forniscono. Come ben sa, per esempio, il deputato di Azione, Enrico Costa, che non riesce mai a sapere con precisione per esempio quanti sono stati i risarcimenti per ingiusta detenzione o le motivazioni per cui in gran numero vengono rifiutati.

Riportiamo, così come li elenca il professor Caravita, quel poco che si riesce a trovare. Nel 2020 le archiviazioni sono state 392.304 su 600.685 procedimenti penali, quindi oltre il 65%. Inoltre, dal Secondo Rapporto Eurispes “Indagine sul processo penale in Italia”, emerge che nel 2019 le condanne incidono per il 43,7% delle sentenze. Se poi passiamo a esaminare specificamente i processi per corruzione, quelli che dovrebbero sancire che l’Italia è uno dei paesi più marci del mondo, i dati statistici sono ancora più desolanti, se si pensa al denaro pubblico inutilmente sperperato. Nel 2016 (ultimo dato disponibile, e vorremmo sapere perché), su 480 procedimenti, solo un quarto è arrivato alla condanna degli imputati.

Il che dimostra, non solo la scarsa professionalità dei pubblici ministeri e giudici che avevano istruito quei procedimenti, ma anche le gravi lacune del legislatore. Che evidentemente, proprio come succede d’estate quando ci lasciamo convincere di aver troppo caldo, magari solo per poterci lamentare di più, ha maggior fiducia nella percezione piuttosto che nella realtà dei fatti. Ma se nel caso dell’applicazione retroattiva della legge “Spazzacorrotti” l’intervento della Corte Costituzionale ha sanato un’ingiustizia che era intervenuta a colpire il bene supremo di tanti cittadini, cioè la loro libertà, nel caso della norma incostituzionale del Codice appalti, si aggiunge anche un effetto secondario ma comunque molto grave. Quello di intervenire anche a danno del sistema economico.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.