Nei giorni scorsi i dati resi noti dall’Eures sono stati una doccia fredda: i femminicidi in Italia sono in aumento. Nel 2018 ci sono state 142 vittime: crescono in particolare le donne uccise all’interno dell’ambito familiare: sono passate da 112 a 119, più 6,3 per cento.  In questi anni non si è stati con le mani in mano: sono stati fatti diversi interventi legislativi ma alla fine l’unica iniziativa che è stata messa in moto davvero è l’aumento delle pene. I soldi ai centri antiviolenza arrivano in ritardo, spesso non arrivano e non sono adeguati alle esigenze che sono tante. Nei centri si accolgono le donne, si dà loro assistenza psicologica e legale, le si accoglie in case protette. I fondi non si vedono neanche per gli orfani di femminicidio.

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Ma non è solo una questione di fondi. In questi anni il populismo penale, o idealismo penale come lo ha chiamato papa Francesco, ha fatto credere che tutti i problemi, anche quello che riguarda la violenza sulle donne, si potessero risolvere con l’inasprimento delle pene. Nel caso della violenza sulle donne, le misure cautelari come l’allontanamento del coniuge violento possono salvare la vita. Ma sono proprio quelle di più difficile applicazione. Quello che sicuramente funziona a livello di opinione pubblica è però l’idea che più pene possano essere un deterrente. I fatti e i dati dimostrano ancora una volta il contrario. Non è solo un fatto di inefficacia. Ragionare in termini di aumento delle pene ha un doppio effetto: si asseconda la convinzione popolar-populista “dell’occhio per occhio” e si sposta l’attenzione dalla vera sfida. Questo è vero sempre, per qualsiasi problema che riguardi il codice penale. Ma lo è ancora di più quando parliamo di “femminicidio”: la violenza degli uomini sulle donne avviene per la maggior parte dei casi all’interno della coppia, cioè dentro un modello di relazioni che si ha paura di mettere in discussione. Come ha scritto Lea Melandri anche su questo giornale: uccidere non è amore, ma l’amore c’entra.

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E quella idea di amore, che ha radici storiche profonde, va messa in discussione in ogni ambito. È una sfida che parte dalla scuola, attraversa la società e mette in gioco i rapporti uomo-donna. Chi governa o chi ci rappresenta nelle istituzioni non può certo farsi carico di cambiamenti epocali, ma non può neanche pensare di usare lo schermo del carcere per non affrontare le questioni in maniera più strutturata e utile.  Le cose da fare sono tante: i soldi ai centri, l’educazione nelle scuole, i fondi per le donne che decidono di lasciare il marito o il fidanzato violento: per farlo serve una casa, un lavoro, una macchina. Altrimenti anche quando si è a rischio di perdere la vita, non si riesce a fare il passo dovuto. Anche il “Codice Rosso” è nato dentro la logica punitiva: alcune norme possono essere valide, ma la cultura di fondo è sempre quella che non riesce a pensare lo Stato se non come autore di interventi punitivi o burocratici. Inutile punire, dopo: quando la donna è già morta. Aiutiamo chi fa prevenzione e chi, giorno dopo giorno, aiuta le donne.

Angela Azzaro

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