Il cardinale Angelo Becciu ieri si è difeso vivacemente, convocando i giornalisti. «Mi sembra strano essere accusato di questo. Quei 100mila euro, è vero, li ho destinati alla Caritas. È nella discrezione del Sostituto (incarico ricoperto dal 2011 al 2018, terzo per importanza dopo Papa e Segretario di stato, ndr) destinare delle somme che sono in un fondo particolare destinato alla Caritas, a sostenere varie opere. In 7-8 anni non avevo mai fatto un’opera di sostegno per la Sardegna (è originario di Pattada, diocesi di Ozieri, ndr). So che nella mia diocesi c’è un’emergenza soprattutto per la disoccupazione, ho voluto destinare quei 100mila euro alla Caritas».

«Quei soldi sono ancora lì, non so perché sono accusato di peculato». Becciu ha spiegato che i soldi non sono transitati dalla Caritas alla cooperativa gestita dal fratello che collabora con la Caritas di Ozieri. E ancora: «Per il palazzo di Londra l’Obolo di San Pietro non è stato toccato, non è stato utilizzato. La Segreteria di Stato aveva un fondo, doveva crescere». Per la Caritas di Ozieri i 100mila euro arrivavano dall’Obolo ma era un fine “caritativo”, ha ribadito Becciu rispondendo comunque che con il Papa, nel colloquio durato “venti minuti”, non si è parlato del palazzo di Londra (operazione, sembra, da 225 milioni di dollari). Ed ha aggiunto che la vicenda è “surreale”, ribadendo poi stima e fedeltà nei confronti del papa che inaspettatamente gli ha chiesto di dimettersi. Sembra dunque che il nodo sia i presunti atti illegali del cardinale riguardo i rapporti tra i suoi fratelli, la chiesa italiana e la Santa Sede da dove avrebbero preso finanziamenti. Quanto all’entità, si parla di 100mila euro ma sembra anche ci siano di mezzo altri 600 mila euro destinati a cooperative riconducibili alla famiglia (i fratelli).

Nonostante la ricostruzione del porporato, le domande non mancano. Per esempio: il laconico comunicato del 24 sera annuncia le dimissioni e la perdita dei diritti collegati al cardinalato (non entrerà in un conclave, ad esempio) non spiega il perché. In questo modo le illazioni si moltiplicano. Era proprio necessario tacere i motivi? Non si poteva dire di più? Tra la ricostruzione del cardinale (tutto regolare) e la decisione papale abbiamo una siderale distanza e neppure l’avvio di un processo o un procedimento (così sembra, almeno). Non si poteva aspettare? E se per il papa è tutto chiaro, non si poteva dire di più?

I fratelli del cardinale, coinvolti a vario titolo in quanto gestori-percettori di parte delle somme, hanno annunciato vie legali. Ma contro chi? Vale o no, anche in Vaticano, l’idea che se ci sono reati vanno accertati e puniti in base ad una procedura legale? Certo il papa è allo stesso tempo detentore del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, però qualche passo avanti in duemila anni di diritto romano e a 270 da Montesquieu si potrebbe fare.

Naturalmente poi c’è l’ambito dell’opportunità: forse non ci sono reati però si parla di una quantità di soldi rilevante e dell’opportunità o meno di metterli nelle mani di parenti, per quanto detentori di incarichi ecclesiali. Nell’accavallarsi delle voci, come sempre, si parla di lavori fatti per le Nunziature a Cuba e in Egitto, dove il cardinale avrebbe affidato appalti alle ditte di famiglia. Di tutto e di più sentiremo nei prossimi giorni. Ma appunto: nel clima di questi anni – da Benedetto XVI in poi, con l’adesione del Vaticano alle procedure di controllo e valutazione internazionale per evitare riciclaggio e reati finanziari – non si poteva essere rigorosi con rendicontazioni inoppugnabili? Oppure nonostante tutte le riforme esiste ancora una gestione un po’ personale del patrimonio ecclesiale?

E se invece fosse qualcos’altro: ad esempio (lavorando di fantasia) una maniera per screditare l’operato del papa? Su tutto la considerazione dominante è quanta strada ci sia da percorrere tra il dire e il fare, tra il Vangelo e l’operare con i soldi, come papa Francesco aveva detto parlando alla Curia nel 2014. Se siamo allo stesso punto, sei anni dopo, qualche domanda sui criteri di scelta e selezione andrà pure fatta, prima o poi. E anche ci sarà da chiedersi quando finirà questa partita a scacchi, fintamente ingenua, dove dietro il denaro si vuole certamente coinvolgere sempre più papa Francesco. Lo capiremo nei prossimi mesi.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).