Il sottoscritto Cesare Battisti, nato a Cisterna di Latina, il 18-12-1954, e detenuto presso la c.c. di Parma espone quanto segue. Il 2 marzo 2023, alle ore 08:00 circa, un assistente capo in servizio, con aria spavalda e fare minaccioso, sopportato da un nugolo di agenti dalle impressionanti prestanze fisiche, faceva irruzione nella cella n° 2 della sezione 1° B della c.c. di Parma, occupata dallo scrivente.

È stata immediatamente manifesta la volontà del sottufficiale nel voler provocare reazioni inconsulte, aggredendo verbalmente e fisicamente il sottoscritto. Il quale veniva sottoposto a trattamento selvaggio, sospinto a più riprese, impedito di esprimersi poiché mitragliato da intimidazioni e propositi minacciosi conditi da proibizioni arbitrarie, nel disprezzo del O.P., come quella secondo la quale il detenuto non avrebbe mai diritto alla privacy (stiamo parlando di media sicurezza!) nemmeno in bagno durante i propri bisogni e l’igiene corporale; continuando ad esercitare sul reclamante una pressione d’inaudita violenza, bloccando ogni tentativo di difesa verbale al ripetere come mantra la solita formula: “Qui è Parma, qui è così e basta”.

Alla conclusione di quella che doveva apparire un’operazione di perquisizioni, simulate e poi vedremo perché, si rivela senza ombra di dubbio come l’unico obiettivo delle finte perquisizione nella sezione “minorati fisici” fosse stato un intervento di squadrista memoria per colpire esclusivamente Cesare Battisti; giacché delle 9 celle suppostamente interessate a finte perquisizioni, solo la n°2 sarà perquisita realmente, messa a soqquadro, razziata, saranno requisiti oggetti consentiti dal O.P. e in uso ordinario presso tutti gli altri detenuti della sezione. Allorché il reclamante, senza mai ricorrere ad espressioni offensive, né mostrando segni d’insolenza, richiedeva alcun documento che registrasse formalmente le requisizioni e la razzia in cella (in assenza assoluta di alcuna valida ragione di sicurezza o di malfatto e infrazione contestati) il nugolo di agenti si faceva minacciosamente sotto al detenuto, secondo la sperimentata tecnica intimidatoria tesa a disanimare legittime richieste e, allo stesso tempo, a provocare una reazione inconsulta che si sarebbe ritorta contro il detenuto stesso.

Nonostante l’art. 36 del reg. esec. Preveda che il regolamento interno debba essere portato a conoscenza dei detenuti, finora ogni formale richiesta in questo senso è stata vana. La risposta essendo sempre la stessa: “Non esiste un regolamento interno scritto da potervi consegnare”. Un’affermazione tesa a coprire e a proteggere dall’azione giudiziaria una serie impressionante di abusi di potere inflitti alla popolazione detenuta, più esattamente alla parte più fragile di essa e/o, come nel caso del reclamante, anche come ritorsione per egli aver osato inoltrare reclami su precedenti azioni discriminatorie nei suoi confronti. Qualunque essa sia la rimostranza legittima, la formula che il personale responsabile oppone è sempre la solita: “Questa è Parma, qui è così e basta”. Mentre si agitano ad ogni occasione fantasiose norme restrittive, tutte in nome di un fantomatico regolamento interno il quale risulta non essere stato mai approvato dalla magistratura di sorveglianza, come la prassi lo ordina.

Ma il colpo al cuore il reclamante lo avrebbe avuto solo a tarda sera dello stesso giorno, al momento di accendere il proprio pc per la ricarica serale della batteria (essendo egli stato privato di una presa elettrica in cella, può solo disporre di un cavo teso dopo le 19.30, il che vuol dire 3 ore di autonomia per il mattino seguente). Al momento di aprire e accendere il pc, il detenuto scopriva che l’intero schermo si staccava dalla parte superiore e che l’intero computer era stato manipolato da mani inesperte, o propositalmente tali, arrecando gravi danni alla macchina, rendendola inservibile. Il sottoscritto vuole sottolineare il trauma, al realizzare che l’oggetto e strumento di lavoro indispensabile, non solo per il naturale svolgimento professionale, come scrittore ed editor di “artisti dentro”, ma rappresenta, per lui l’unico mezzo per mantenere un equilibrio psichico in circostanze tanto avverse. Per i fatti sopra esposti si richiede alla S.V., oltre a far procedere, caso si dovessero rilevare ipotesi di reato, un risolutivo intervento per un ritorno alla legalità, tesa a garantire i diritti inviolabili del detenuto.

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