Nelle coincidenze che fanno una vita Ennio Morricone passò un anno delle elementari con Sergio Leone. Il filo si riannodò una trentina di anni dopo, nel 1964, quando il regista cercava un compositore delle musiche per quello strano e rivoluzionario esperimento che sarebbe stato Per un pugno di dollari.

Fu quel magico contatto che impresse una svolta alla carriera di entrambi e rivelò sia un’idea di cinema innovativa, sia una maestria musicale sorprendente.

Mi pare giusto ricordare Ennio Morricone, morto a 91 anni, partendo da quell’incontro decisivo che poi avrebbe inaugurato un sodalizio che dalla trilogia del dollaro (Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto e il cattivo) si sarebbe prolungato in quella del Tempo con C’era una volta il West, Giù la testa e C’era una volta in America.

Dire del maestro che a lui si deve la colonna sonora del cinema (non solo) italiano potrebbe essere un cedimento alla retorica e tuttavia basta scorrere i titoli – centinaia e centinaia – a cui si è dedicato per capire l’intensità, la forza, l’originalità del suo accompagnamento, meglio ancora della sua interpretazione sonora delle immagini, perché la sua opera entra da protagonista potente in quel misterioso mix di immagini, parole e suoni che è un film.

Non può essere che una sintesi sommaria e riduttiva, è il 1961 quando Morricone esordisce nel cinema con Il federale di Luciano Salce, e ancora con lui La voglia matta e Slalom, poi le prime prove di autori che lasceranno un segno come Lina Wertmuller (I basilischi) e Bernardo Bertolucci con Prima della rivoluzione.

Morricone non si preclude a nessun genere e taglia trasversalmente le categorie sommarie con cui definiamo l’alto e il basso: gli western con Leone e musicarelli come Non son degno di te di Ettore Fizzarotti, Agente 007 Bloody Mary di Sergio Grieco e I pugni in tasca di Marco Bellocchio, La ragazza e il generale di Pasquale Festa Campanile e L’harem di Marco Ferreri, Diabolik di Mario Bava e Teorema di Pier Paolo Pasolini. Sembra un diagramma, su e giù, e Morricone ne è la variabile oscillante e creativa.

E non si possono dimenticare le canzoni, come Se telefonando di Mina, Sapore di sale di Gino Paoli o Con le pinne, il fucile e gli occhiali, tutte dentro il soundtrack più popolare degli anni Sessanta.

Si potrebbe continuare in linea cronologica e  non finiremmo più. Allora, forse, conviene costruire una rotta mettendo insieme la memoria che Morricone ha lasciato a chiunque ami il cinema e non solo, perché certe partiture, mentre restano indissolubilmente legate a certe immagini, per un altro è come se volessero uscire da quell’abbraccio e risuonare per conto loro, nella libertà della musica. La frusta e il fischio di Per un pugno di dollari, le contaminazioni di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri con il clavicembalo suonato come un mandolino e gli inserimenti ironici del marranzano e del sax soprano, la partitura di Mission di Roland Joffé che mescola cori liturgici, sonorità etniche e chitarre spagnole, la melodia con la pizzica e la tarantella di Allonsanfàn dei fratelli Taviani, l’epica colta e popolare di Novecento di Bernardo Bertolucci, la sinfonia avvolgente e struggente di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. La ricerca di una sintonia con il mondo di un film gli diventava uno scandaglio in se stesso, inseguendo le emozioni e i sentimenti che sarebbero stati poi quelli del pubblico.

Stupisce da questo punto di vista la varietà delle soluzioni strumentali e delle componenti timbriche delle cosiddette colonne sonore, lui che era stato allievo di Goffredo Petrassi e dentro l’esperienza innovativa della musica moderna, in particolare la corrente che portava a Bruno Maderna, al punto da confessare  la sua predilezione per la ricerca di quella che chiamava “la musica assoluta”.

Come è capitato a tanti intellettuali, Morricone ha vissuto la scissione tra arte e mercato, fra l’ispirazione e l’esecuzione di un programma a pagamento, ha praticato la quantità del cinema e dell’industria (fino a 25 lavori per film nel 1972) e, per un verso, vi ha portato la sua qualità autoriale, per l’altro, ha continuato a coltivare quel territorio musicale fatto di studi e composizioni che continuavano a confrontarsi con il mistero affascinante e puro del suono.

In questo, è stato un artista-artigiano del Novecento.

Non so esageri, ma tocca questo punto Quentin Tarantino quando, ritirando nel 2016 a suo nome il Golden Globe per The Hateful Eight (il film che valse a Morricone il tanto desidertao Oscar, dopo quello alla carriera del 2007), disse che per lui Ennio era come Mozart, Schubert e Beethoven. Non un compositore di musiche per film, ma un artista, un genio della musica.

Non è facile fare certi paragoni, secoli e contesti diversi, Morricone ha lavorato tantissimo, con metodo ferreo e dedizione assoluta – superata solo da quella per la famiglia – lascia un territorio musicale vastissimo, segnato dal tentativo  bulimico di tenere insieme e, al tempo stesso, di mantenere una separazione tra livelli e ambiti diversi.

Roba di.. un secolo fa.