Dio maledica gli anniversari! Pochi ne escono indenni. Molti ne vengono manipolati, incensati, strumentalizzati. Siamo appena riemersi dall’anniversario degasperiano, che ci ha restituito un leader volta a volta padre della Costituzione ma alfiere del (malfamato) liberismo, inventore del “centro che guarda a sinistra” ma artefice della perfida legge truffa. Ed eccoci subito al Migliore, anch’egli deceduto in agosto, dieci anni dopo. Una ricorrenza ravvicinata che, inutile a dirsi, ha provocato avventurosi parallelismi tra i due. Grandi Vecchi della Repubblica, edificatori della nuova democrazia, eredi di Cavour, eccetera.

Assonanze facili, che manipolano al tempo stesso storia e memoria. Perché, se la vicenda pubblica di De Gasperi finì con un taglio netto, con una sconfitta politica senza appello, con un doloroso isolamento, Togliatti sopravvisse invece a se stesso, ebbe eredi più o meno legittimi, diede un segno indelebile al partito che aveva fondato e all’egemonia culturale di cui fu il regista inarrivabile. Se De Gasperi brillò come una splendida meteora, Togliatti mise radici robuste nelle istituzioni, nel modello di rappresentanza, nella società. Radici tuttora vive e vegete. Detto altrimenti, Togliatti è attuale. Si vedono a occhio nudo le impronte che ha lasciato nel corpo del paese.

È attuale la “sua” Costituzione, al cui interno le componenti laiche, liberali e conservatrici vennero surclassate dall’ispirazione convergente della sinistra comunista e della sinistra cattolica. A tal punto attuale, che a quasi ottant’anni dalla sua promulgazione resta una sorta di totem. Invecchiata, spesso inefficiente, ma intangibile. È attuale, non di meno, quella matrice antifascista della Repubblica che si sarebbe presto trasformata nell’equivalenza tra anticomunismo e fascismo e perciò nell’illegittimità culturale dell’anticomunismo. È attuale la cronica spaccatura della sinistra italiana, la vana attesa di una Bad Godesberg, l’ostilità del Partito comunista nei confronti del socialismo. Un muro che venne eretto contro il centrosinistra fin dai primi anni Sessanta del Novecento, contribuendo non poco al suo fallimento. Ed è attuale il legame tra il partito di Togliatti e il 1917, la compromissione con l’autoritarismo “orientale”, il rapporto organico con l’Unione Sovietica e la divulgazione di un antiamericanismo che si saldava con l’ideologia del crollo del capitalismo, del controllo statale del mercato, dell’egualitarismo.

Tutto questo è storia. Ma è anche memoria. Un filo rosso che non si spezza, travalica i decenni, unisce le generazioni. E la memoria del Migliore sembra non demordere, sembra infiltrare tuttora i valori e i sentimenti di segmenti non piccoli di popolazione, ricompare nei riflessi condizionati della sinistra odierna, fra gli adulatori della Costituzione, fra i partigiani di un antifascismo inesausto, nella diffidenza verso le riforme, nei tanti – spesso vecchi, ma anche giovani e giovanissimi – che portano nelle piazze il proprio odio verso la bandiera a stelle e strisce e l’Occidente liberale. E verso l’establishment, i poteri forti, la casta.

La storia del comunismo italiano è apparsa spesso nobilitata dalla sapienza strategica di Togliatti, dalla sua abilità tattica, dalla solidità della sua cultura nazionale. Un inno alla politica, tanto più seducente in tempi di antipolitica. Togliatti totus politicus, l’aveva definito Croce. Ma la politica non è esente da errori, da colpe, talvolta da terribili delitti. “Scelte aspre, irreversibili, perfino sanguinose”, come le chiamò Biagio de Giovanni, celebrando la ricorrenza togliattiana nell’agosto di un lontano 1989. “Il pensiero e la prassi politica di Togliatti sono profondamente coinvolti in tutta la vicenda del comunismo e del suo totalitarismo pervasivo”, diceva il filosofo, e non ci sono alibi che tengano. “Certo, la storia e gli uomini vanno capiti e dunque anche ‘giustificati’: ma attenzione a non cadere nella trappola dello storicismo, per cui tutto quello che è stato ha avuto una ragione per essere”.

De Giovanni scrisse queste parole sulla prima pagina dell’Unità di Massimo D’Alema. Venne isolato, gli rinfacciarono un colpo di sole, perse il posto nella Direzione del partito. Altri tempi. Ma oggi? Oggi si potrebbe rendere giustizia alla storia, sfogliare finalmente un album di famiglia che continua a gettare un’ombra sull’intero discorso pubblico del paese. Dopotutto, ormai, non serve il coraggio. Don Rodrigo non c’è più. E non c’è più Roderigo di Castiglia.