Arrivato a Roma, inizialmente come segretario del Pd e poi come premier, Matteo Renzi “la prima cosa che capisce è che per governare, in generale ma in questo Paese in particolare, devi controllare o quantomeno avere persone di fiducia nei gangli del Sistema, per pararti dai colpi bassi. Così funziona”. Lo racconta Luca Palamara nel libro intervista Lobby e Logge scritto con Alessandro Sallusti.

Se per un verso il Sistema scatena subito la caccia nei suoi confronti (come raccontato nella puntata di ieri), dall’altro il Rottamatore non rimane inerte e cerca di prendere le giuste contromisure. “Gli obiettivi sono carabinieri, guardia di finanza, servizi e magistratura”, prosegue Palamara. Per i carabinieri Renzi ha le idee chiare e chiude subito la pratica con due fedelissimi: per comandante generale sceglie Tullio Del Sette e per casa sua, in Toscana, “si blinda” con la nomina del generale Emanuele Saltalamacchia, “una sua vecchia conoscenza di quando era sindaco di Firenze”.
Discorso più complesso per la guardia di finanza, una organizzazione strategica “perché rispetto alle altre forze di polizia è diventata protagonista di importanti e delicate indagini, soprattutto con alcuni suoi reparti speciali, ad esempio il Gruppo investigativo sulla criminalità organizzata, meglio conosciuto come Gico”.

In quel momento il numero uno delle fiamme gialle è il generale Saverio Capolupo, “uomo potente e di grandi relazioni”. Il suo incarico scade nel 2016 e potrebbe essere prorogato da Renzi. Il Rottamatore, però, commette “un errore fatale” e insedia al vertice delle fiamme gialle Giorgio Toschi, preferendolo a Luciano Carta che verrà parcheggiato ai servizi in “uno stato d’animo, diciamo così, non proprio riconoscente nei confronti del premier”. Renzi, prosegue Palamara, “avrebbe voluto come comandante della finanza un suo caro amico, il generale Michele Adinolfi, ma il vecchio sistema si mette di traverso e brucia il generale con una operazione perfetta coordinata tra magistrati e giornalisti”.

L’operazione per far fuori Adinolfi nasce dalla Procura di Napoli dove il pm Henry John Woodcock e i carabinieri del Noe del capitano Giampaolo Scafarto e del colonnello Sergio De Caprio, alias capitano Ultimo, stanno conducendo l’inchiesta “Cpl Concordia” su alcune tangenti per la metanizzazione dell’isola d’Ischia. Gli imputati, tra cui il sindaco Giosi Ferrandino che trascorrerà oltre venti giorni a Poggioreale, per la cronaca, saranno poi tutti assolti. Fra gli intercettati in questa maxi inchiesta finita in un flop c’è anche Adinolfi. Il generale chiama Renzi il giorno del suo quarantesimo compleanno. La conversazione è amichevole e i due si lasciano andare a giudizi molto pesanti sull’allora premier Enrico Letta, definito senza mezzi termini “incapace”.

La telefonata è esplosiva per i rapporti già non idilliaci fra Renzi e Letta e, anche se non attiene minimamente le indagini, viene trascritta dai Cc del Noe per poi essere lasciata in un cassetto per un anno. Nel 2015 il Fatto Quotidiano si incaricherà di pubblicarla integralmente e Adinolfi verrà bruciato. “Era il segnale: il vecchio sistema aveva dichiarato guerra a Renzi”, precisa Palamara. Nel 2017 parte un regolamento di conti all’interno dell’Arma, “sempre per mano della procura di Napoli e del duo Scafarto-De Caprio”, e ad essere azzoppati sono proprio Del Sette e Saltamacchia, accusati di rivelazione atti d’ufficio nell’ambito di uno dei filoni dell’indagine Consip. Del Sette, in particolare, verrà pure condannato dal tribunale di Roma. Mai era accaduto, dal 1814, anno di fondazione dell’Arma, che il numero uno dell’Arma subisse tale onta.

“Ma nel 2017 Renzi non è più premier”, afferma Sallusti. “Già – risponde – lascia nel dicembre del 2016, ma è ancora potente perché ha il controllo dei gruppi parlamentari del Pd. È vero, ha sbagliato e ha perso il referendum da lui indetto sulla riforma costituzionale, però lo ha perso raccogliendo una montagna di voti. Insomma, fa ancora paura alla vecchia nomenclatura Pd che non vede l’ora, come disse Bersani, di riprendere in mano la ditta”. Per dare il “colpo di grazia” a Renzi, aggiunge Palamara “una manina sposta De Caprio e il suo gruppo dal Noe al cuore dei servizi segreti, all’Aise, l’agenzia degli 007 impegnata sugli affari esteri”. Questo improvviso trasferimento suscita grandi perplessità nell’entourage renziano che non riesce a comprendere perché stiano avvenendo tali spostamenti.

“Secondo i renziani – prosegue Palamara – è Marco Minniti, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi, uomo che arriva dalla linea Pci-Pds-Pd, cioè legato alla vecchia nomenclatura. Minniti è nel governo Renzi ma legato a quella parte della sinistra a lui ostile”. “I renziani – ricorda Palamara – mi dicevano: Minniti si era impegnato a rafforzare l’Aisi per catturare Matteo Messina Denaro, proponendo il nome di De Caprio, ma anziché mandarlo a dare la caccia a uno dei latitanti più pericolosi e ricercati al mondo lo dirotta all’Aise per farci fuori”. Meglio di House of Card.