Difficilmente il problema sarà oggi, 15 ottobre, data in cui il green pass diventa obbligatorio nei posti di lavoro, pubblici e privati. E neppure domani, il giorno della grande manifestazione nazionale a Roma di Cgil, Cisl e Uil. La grande allerta si tradurrà in uno sforzo collettivo contro infiltrazioni nei cortei (Landini ha assicurato un servizio d’ordine vecchio stile, di quelli che non passa neppure una mosca) e nella massima attenzione a smussare eventuali difficoltà ed evitare criticità. «Dobbiamo tenere il punto fino a lunedì sera, quando saranno noti i risultati dei ballottaggi» avverte una fonte di governo alle prese col dossier manifestazioni, rischio eversivo e rabbia sociale. «Il problema – continua la fonte – potrebbe manifestarsi più facilmente da martedì in avanti. Ed è chiaro che sì, avranno un peso anche i risultati elettorali».

Che poi è tutto qui il vero problema: l’intreccio politica-ballottaggi-misure anti Covid-caccia ad un pugno di voti che può alla fine fare la differenza. Il venerdì nero dunque potrebbe essere il timore, fondato, di giornalisti ed osservatori. C’è il problema trasporti, ed è forse il più serio: un autista su tre non ha il Qr code e questo potrebbe fermare tutta la logistica. Comunque provocare ritardi nelle consegne e quindi scaffali vuoti, crisi dei carburanti e blocco delle industrie. Trieste si è messa alla testa della protesta del settore autotrasporti. Il problema esiste perché i camionisti dell’est che vengono ad operare in Italia sono vaccinati, quei pochi, con vaccini non riconosciuti. Dunque non possono entrare in Italia e non possono lavorare. Ma la faccenda da questione di necessità è diventata politica per cui, pur avendo avuto autorizzazione dal Viminale a fare tamponi gratuiti, i camalli del nord est hanno detto no e pretendono il ritiro del green pass. Un braccio di ferro con palazzo Chigi: più politica di così. Poi c’è dentro anche voglia di visibilità e protagonismo sociale. Infatti il fronte del porto caldo è Trieste (oggi sciopero). Gli altri porti non dovrebbero seguirli. C’è il problema dell’agricoltura e della raccolta perché gli antivaccini sono molto diffusi tra gli stagionali. C’è il problema nel trasporto pubblico: un autista su dieci non è in regola. Grande distribuzione e locali pubblici hanno già superato l’esame. Così come la scuola: i protocolli hanno funzionato, il contenimento nei trasporti locali è stato migliore del previsto. Erano tanti pronti a scommettere sull’ennesimo fallimento.

Il problema dunque è per lo più politico. Sta nella rivalità, fino a consumarsi, tra Salvini e Meloni, i due leader del destra-centro che hanno perso il Magic touch e hanno dimostrato poco sangue freddo in queste settimane tra caso Morisi (Lega), caso Fidanza (Fdi) e devastazione della sede della Cgil da parte di Forza Nuova. Invece di rigore da leader, hanno vocato complotti e agguati giudiziari e giornalistici. Nel caso fosse, ne è piena la storia dalle elezioni per il Senato romano fino ai giorni nostri. In Italia e all’estero è “normale” che la vigilia di voti importanti sia segnata da polpette più o meno avvelenate. Un vero leader dovrebbe mostrare spalle larghe, nervi salvi e le carte a posto, senza ombre. In questo caso, senza le ambiguità che abbiano visto. Invece martedì mentre Meloni accusava dai banchi dell’aula della Camera il ministro dell’Interno di “ordire complotti” e operare secondo “la strategia della tensione”, Matteo Salvini si faceva ricevere a palazzo Chigi da Mario Draghi per chiedere “la pacificazione del paese”. Proprio lui che lo ha incendiato fino all’altro giorno con la Bestia di Morisi.

Non sarà oggi e neppure domani. Ma i problemi arriveranno. «Dovremo monitorare tutta la settimana per capire se e quanto crescono i vaccinati, le richieste di tampone, quanti non vanno a lavorare» spiegano fonti di governo. Che però – è stato chiarito – non farà mezzo passo indietro rispetto alle decisioni prese, né rispetto al green pass né rispetto ai tamponi. La circolare del Viminale che martedì aveva autorizzato i tamponi pagati dai datori di lavori per i portuali di Trieste, pare abbia indispettito il premier. Si tratta di indiscrezioni senza conferma. Il risultato è che i portuali – che a Trieste hanno sfilato dietro lo striscione di Rifondazione comunista – anche di fronte a questa possibilità, hanno rilanciato con la richiesta di abolire il green pass. Palazzo Chigi ha ribadito e confermato tutte le misure già disposte. Perché mai fare marcia indietro rispetto ad una strategia vincente (vaccini e tamponi) che hanno portato la copertura vaccinale all’80% e il paese in pieno boom economico?

I problemi ci saranno perchè, come si legge in un tweet di Marco Bentivogli, ex leader della Cisl ora passato alla politica, «nelle prossime ore chi pesca nel torbido farà di tutto per far saltare i nervi». Chi vuole giocare sporco e per secondi fini trova in queste ore un contesto ideale. I problemi ci saranno perché il Viminale è sotto pressione: individuata la ministra tecnica come punto debole del governo dei migliori, servirà molto sangue freddo nelle piazze dei prossimi giorni per tenere a bada provocatori e depistatori. La tenuta dell’ordine pubblico continua ad essere oggetto di malintesi in buona e cattiva fede. Castellino, il leader di Forza Nuova che ha guidato la marcia verso la Cgil, non poteva in alcun modo essere arrestato come hanno inteso i più. «Poteva, semmai – spiega una fonte tecnica del Viminale – essergli impedito di salire sul palco e diventare così il capo popolo di quel maledetto sabato. Non lo abbiamo fatto perché questo avrebbe incendiato oltremodo la piazza».

Ieri pomeriggio, interrogati dal gip, Fiore e Castellino hanno buttato altro benzina sul fuoco. «Il corteo verso la Cgil è stato concordato con la polizia» responsabile dell’ordine pubblico. Una mezza verità che sarà anche questa usata per gridare ai complotti e alla strategia della tensione. È vero che Fiore e Castellino lo hanno chiesto e hanno trattato. È falso che gli è stato concesso il permesso. La Cgil era l’obiettivo numero due una volta fallito l’assalto a palazzo Chigi. Alla fine il problema vero è stato «un errato posizionamento di uomini e mezzi davanti alla sede del sindacato in corso d’Italia». Quindi nessun complotto. Nessuna strategia della tensione. Un errore. Certamente grave. Il primo però dopo oltre mille manifestazioni andate a buon fine in un clima di crescente rabbia sociale e rispetto ad un movimento fluido e imprevedibile. Che scrive tutto sui social ma quasi mai fa quello che annuncia.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.