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Accordi e Disaccordi
La sfida all’Occidente di Russia e Cina: quando energia e materie prime diventano strumenti di guerra
Negli ultimi anni, Pechino e Mosca hanno intensificato l’utilizzo strategico di energia e materie prime come strumenti di pressione geopolitica. Questa tendenza – che riflette un’evidente militarizzazione delle risorse economiche – ha trasformato approvvigionamenti cruciali in veri e propri strumenti di influenza politica, con effetti profondi sull’ordine globale. Pochi giorni fa Pechino – leader mondiale nella produzione di metalli critici – ha annunciato un ulteriore inasprimento dei controlli sulle esportazioni di risorse “dual use” come tungsteno, grafite e leghe di alluminio, elementi fondamentali per la tecnologia avanzata e le catene di approvvigionamento globali.
Il controllo cinese
Questa mossa, che entrerà in vigore dall’1 dicembre, mira a consolidare il controllo cinese su settori tecnologici strategici e a rispondere alle crescenti restrizioni statunitensi sul commercio di semiconduttori. La notizia arriva dopo le restrizioni all’export di metalli utilizzati nel settore della Difesa varati lo scorso anno come gallio, germanio, antimonio e grafite e dopo l’annuncio di alcune settimane fa di interrompere le forniture in favore di Skydio (uno dei maggiori produttori statunitensi di droni). Nel contesto della rivalità economica con Washington, Pechino ha chiarito che l’accesso a questi materiali potrebbe diventare sempre più limitato per quei paesi considerati ostili.
L’approccio di Mosca
Parallelamente, Mosca ha adottato un approccio simile nel settore energetico. La recente decisione di bloccare l’esportazione di uranio arricchito – destinato ora solo a “paesi amici” come India, Iran e Cina – rappresenta un ulteriore segnale della volontà russa di sfruttare le risorse naturali come leva diplomatica. L’urgenza di diversificare le forniture energetiche, emersa in seguito all’invasione dell’Ucraina, è stata accentuata dalla scelta della Russia di interrompere le esportazioni di gas naturale verso l’Austria, uno degli ultimi canali rimasti attivi con l’Europa. Questa strategia ha importanti implicazioni globali. In Europa il controllo cinese sulle materie prime e le restrizioni energetiche russe stanno accelerando la necessità di politiche di autonomia strategica. Tuttavia la transizione verso fonti alternative e l’indipendenza energetica richiedono anni di investimenti e infrastrutture, lasciando nel frattempo il Continente vulnerabile. Rimangono ancora troppo forti le resistenze in Europa ad abbandonare il modello economico basato sulle esportazioni.
Il fronte comune contro l’Occidente
Inoltre Pechino e Mosca sembrano collaborare indirettamente, sfruttando il loro peso economico e militare per creare un fronte comune contro l’Occidente. La militarizzazione delle risorse non si limita a una logica di profitto economico: diventa uno strumento per sfidare la supremazia occidentale e ridisegnare gli equilibri di potere. La dinamica rischia naturalmente di innescare una spirale di escalation. I paesi occidentali – guidati dagli Stati Uniti – potrebbero rispondere con ulteriori sanzioni o misure protezionistiche, accentuando le divisioni globali. La competizione per il controllo delle risorse critiche si configura così come una delle sfide più complesse del XXI secolo, in cui energia e materie prime non sono più solo beni economici ma strumenti di guerra geopolitica.
In quest’ottica diventa urgente come non mai inserire le materie prime all’interno di un piano di sicurezza nazionale come ribadito più volte dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Esiste attualmente un vuoto di competenza nella gestione del dossier delle materie prime in ambito internazionale che deve essere colmato immediatamente. La Difesa appare al momento come l’amministrazione più adeguata a raccogliere questa sfida sia sotto il profilo delle competenze sia della visione strategica.
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