A quasi cinque anni di distanza dal crollo del Ponte Morandi a Genova (14 agosto 2018), una tragedia che ha provocato la morte di 43 persone, arrivano rivelazioni inquietanti nel corso del processo in corso. A parlare è Gianni Mion, ex amministratore delegato della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia.

“Emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose ‘ce la autocertifichiamo’. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico”.

Mion lo ha detto riferendosi ad una riunione del 2010, ovvero otto anni prima del crollo. Nel processo in corso nel capoluogo ligure, gli imputati sono 59, ad iniziare dall’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, l’ingegnere Giovanni Castellucci, i suoi due vice, Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, i vertici di Spea (Società Progettazioni Edili Autostradali), la società di ingegneria che aveva effettuato i controlli del ponte. Con loro anche funzionari del Ministero dei lavori pubblici e dell’Anas.

Sentito come teste, Roberto Tomasi, attuale amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, ha così spiegato il ‘lavoro’ di Spea, la società controllata da Aspi e che si occupava di della sorveglianza. “Man mano che i test venivano validati da società esterne al gruppo, ci rendemmo conto che in precedenza erano stati attribuiti coefficienti di rischio ad alcune opere decisamente inferiori allo stato effettivo dell’infrastruttura stessa. In alcuni casi – ha spiegato Tomaso – rilevammo un incremento anche del 200%. I comportamenti di alcuni dipendenti di Spea Engineering erano inaccettabili. Non la ritenevamo affidabile, per questo ci rivolgemmo all’esterno”.

 

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