Lettere al Riformista
“La solitudine dei numeri ultimi in carcere grida in silenzio”
Riceviamo e pubblichiamo il testo della lettera al nostro giornale di Luigi Mollo, studente del Corso di Laurea in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani presso l’Università degli studi di Padova, progetto università in carcere.
Ai numeri si può far dire qualsiasi cosa e quando l’hanno detta gli si può attribuire la lunga scia di suicidi, decessi e presunte torture in diversi Istituti Penitenziari, oggetto di recenti indagini da parte della Magistratura in varie regioni del nostro belpaese. Una sorta di solitudine dei numeri ultimi, si, perché qualsiasi persona che commette un reato, diventa numero ultimo della società. I numeri ultimi che si sono suicidati sono per la maggior parte detenuti in attesa di giudizio o con pena residua inferiore ai due anni. Nel corso di quest’anno, sono giunte ai Garanti Regionali e al Garante Nazionale, nonché alle varie Procure della Repubblica e ai Magistrati di Sorveglianza, allarmanti segnalazioni di un’aumento relativo ad abusi e maltrattamenti che rendono alcuni Istituti Penitenziari, luoghi punitivi e non rieducativi. Dato di rilievo sono anche i suicidi dei custodi delle persone private della libertà, sebbene regni un’incertezza sulle dimensioni del fenomeno e delle cause che spingono un agente di polizia penitenziaria a togliersi la vita.
Ci si chiede perché, le maggioranze di governo presenti e passate negli ultimi anni hanno attribuito alla pena, soprattutto alla sua declinazione più afflittiva, il valore di elementi identitari dei loro manifesti ideologici in grado di risolvere con la privazione della libertà personale ogni male sociale, attraverso l’ordine giudiziario che nel complesso ha partecipato attivamente ad infliggere condanne e custodie cautelari senza applicare per gli eventi di minor delittuosità, misure alternative alla detenzione. Eppure la Corte Europea con i suoi moniti e strumenti normativi deflattivi di ordine e genere ha consegnato nelle mani della magistratura il ruolo di protettrice della libertà e dei diritti umani essenziali, ma mese dopo mese, la solitudine dei numeri ultimi è aumentata in modo esponenziale, come aumentate le sanzioni disciplinari interne, gli episodi giornalieri di autolesionismo, aggressioni, scioperi della fame e interruzione delle terapie farmacologiche.
L’opinione pubblica conosce poco rispetto alla moltitudine di aspetti della vita dei ristretti, non è al corrente se sul serio è assicurato il diritto alla salute fisica e psicologica e, soprattutto, non conosce quali guasti comporti fisiologicamente la detenzione, costituita da mille privazioni ulteriori alla condanna emessa da un tribunale. L’aria in un carcere diventa rarefatta, come lo sono i contatti con i familiari e la propria intimità. Solo chi ha vissuto una detenzione ha conosciuto cosa significhi vivere in spazi sovraffollati, lavarsi mani e faccia con acqua gelida, espletare funzioni fisiologiche mentre sei costretto a subire il controllo da parte degli agenti dalla finestrella posta nel bagno-cucina, provare l’esperienza di una cella vuota o comunemente chiamata liscia, riservata a detenuti con tendenze depressive o suicide.
I segreti del carcere sono ben protetti da muri alti e spessi, nessuno può sapere cosa accada realmente e quanti episodi di ordinaria follia finiscano nell’omertà che lo Stato Italiano trova ineleganti ed inopportuni raccontare, preferendo un che marciscano in carcere.
La solitudine dei numeri ultimi grida in silenzio, se qualcuno ha qualche dubbio fategli delle domande, i numeri risponderanno sempre.
© Riproduzione riservata