Anche i tenori a volte stonano. E forse è il caso di Andrea Bocelli che scampagnando nella capitale, in pieno Palazzo Madama, al convegno un po’ negazionista un po’ libertario di Sgarbi e Salvini, probabilmente ha detto una stronzata sulla pandemia (che tanto cosiddetta non pare…), salvo poi correggere il tiro a 24 ore di distanza dicendo – al solito – di essere stato frainteso. Ciò non toglie che la stupidata quasi certa del cantante profuma comunque molto più di libertà rispetto al perbenismo moralista dei buonisti sempre filogovernativi, sempre ligi al politicamente corretto, molto più dei cantanti che (se non altro un po’ per necessità anche intrinseche al loro mestiere) sono chiamati spesso a intrattenere con le note, qualche volta anche loro malgrado, consessi di idee di ogni tipo.

In questo caso Bocelli, invece, dopo aver cantato sul sagrato del Duomo di Milano deserto a Pasqua, in pieno lockdown (“Ah, ex collaborazionista traditore! Dicci quanti soldi t’hanno dato?!?” Questo il livello di alcuni tra i commenti animati dal sacro fuoco della lesa maestà) e, guarito dal Covid, senza bisogno di cantare, ha preso la parola imboccando metaforicamente l’autostrada contromano.
È arrivato a Roma, si è parcheggiato sui binari del tram e ha iniziato a raccontare senza armonia, per la prima volta, consapevolmente più stonato della celebre ereditiera Florence Foster, soprano a tutti i costi dalla voce sgraziata al punto di diventar memorabile ed essere interpretata al cinema da una grandiosa Meryl Streep. Fatto sta che in un mondo di sanissimi perfetti, mascherati (in moltissimi casi anche d’ipocrisia) e distanziati socialmente dalla fallace imperfezione che ci rende uomini, ci si trova ancora una volta costretti a sedersi dalla parte del torto a difendere la libertà di stonare, bestemmiare, dire eresie (che ogni tanto possono essere anche idiozie).

Ricordando ai forzati della ragione tautologica che ogni tanto i più simpatici possono essere persino i grassocci frequentatori dei perniciosi trigliceridi e non si può a fare a meno di condividere un pericolosissimo aperitivo con i portatori insani di risate rese roche da tossi catarrose e affumicate, cattive virtù proprie di un Paese magari anche malaticcio ma ancora libero. Tutto meglio del nazisalutismo, nuova icona dei buonisti di maniera che improvvisamente, quando la libertà va di traverso alla loro sempre ortodossa corrente di pensiero, si trasformano in spietati leoni da tastiera, odiatori col diritto di calpestare chiunque. Anche chi con garbo, a bassa voce, e con anche un po’ di ironia (come ha fatto Bocelli) si prende al massimo la libertà di raccontare una bischerata di pensiero semplicemente “ottimista”, prendendo per buona la precisazione a scoppio ritardato.

In ogni modo senza voler contagiare nessuno. Fotografia di un Paese che si diceva convinto (senza alcuna logica ragione) del fatto che dalla pandemia saremmo usciti migliori, almeno moralmente. E invece, come profeticamente aveva scritto Giuliano Cazzola proprio sul Riformista a inizio quarantena, al massimo avremo in sorte l’eredità di morire meno liberi, tanto incattiviti, ma del tutto guariti.