Alla fine il governo s’è dovuto mettere a trattare con i trattori. L’ha fatto prima la premier Meloni e mezzo governo con i sindacati di categoria (Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Confcooperative), dalle 14.30 alle 17 a palazzo Chigi. Ma l’incontro che può decidere il destino della protesta è quello iniziato alle 17 e 30 (e ancora incorso alle 20) al ministero dell’Agricoltura tra il ministro Lollobrigida e i portavoce di “Riscatto agricolo”. La protesta intanto porta a casa qualche soldo: la premier, e accanto Giorgetti, hanno promesso che sarà ripristinato il taglio dell’Irpef agricolo ma solo per i produttori più piccoli (fino a 10mila euro di reddito). Si parla di 120-150 milioni che ancora non è chiaro da dove verranno presi.

La legge di bilancio ne ha tagliati 280 e gli agricoltori chiedono di riavere anche gli incentivi per i più giovani. Soprattutto siamo ancora alle promesse. Il governo non ha presentato il testo dell’emendamento al Mille proroghe. Tutto questo quindi non basta per fermare la protesta che chiede più tutela per i piccoli coltivatori messi in ginocchio da alluvioni e carestie, concorrenza sleale, burocrazia infernale, prezzi sempre più bassi (ma sempre più alti per i consumatori). Così ieri intorno alle 21, appena concluso l’incontro al ministero tra Lollobrigida, ricomparso al giorno numero 9 della protesta, e i portavoce del movimento “Riscatto agricolo”, circa duecento trattori si sono messi in marcia lungo il Grande raccordo anulare. L’accordo con il prefetto Giannini era di occupare solo una corsia e di concludere tutto in tre-quattro ore. “Per dare minor disagio possibile ai romani” hanno detto gli organizzatori.

La protesta continua, dunque. “Finché non vedremo atti concreti” si spiega. Anche a Sanremo, nonostante la Rai abbia negato il palco ai trattori già arrivati in città, la protesta potrebbe trovare testimonial speciali: Albano, Antonio Di Pietro, sono tutti in città pronti a sfilare sui trattori. Anche fuori dall’Ariston. Alla faccia del comunicato che vorrebbero far leggere ad Amadeus.
Una faccenda scappata pericolosamente di mano. Rispetto alla quale coloro che si erano presentati come i garanti del settore e delle sue rivendicazioni– il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e il re della Coldiretti Ettore Prandini – hanno dimostrato di non saper garantire il settore. Lo dicono due fatti: l’imbarazzo del ministro (“io ascolto sempre tutti”) che ha esultato per il passo indietro che il suo governo ha fatto sul taglio dell’Irpef agricola; la fretta con cui Prandini ha lasciato ieri Palazzo Chigi dopo tre ore di confronto con il governo.

Comunque al nono giorno di protesta con migliaia di trattatori piazzati come falange armate intorno alla Capitale e in alcuni nodi strategici del Paese come porti e autostrade, il governo ha deciso di ricevere gli agricoltori. A palazzo Chigi sono arrivati i sindacati del mondo agricolo – la potentissima Coldiretti e Confagricoltura (il 60% della totalità delle aziende) – e poi Cia, Copagri e Confcooperative. Dall’altra parte del tavolo Giorgia Meloni, i due vicepremier Tajani e Salvini (aria da socio in bocca di chi si è intestato la protesta e i suoi risultati), Lollobrigida, il ministro dell’Interno Piantedosi, il ministro dell’economia Giorgetti, la ministra del Lavoro Calderone, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin. Quasi un consiglio dei ministri ad hoc. Che ha dovuto fare marcia indietro rispetto alle decisioni prese con la legge di bilancio. Anche se si continua lo scaricabarile con l’Europa. La vera sconfitta, politica, è questa. Poi c’è la sconfitta della rappresentanza: i trattori si sono messi in viaggio perché non si fidano più delle rispettive organizzazioni sindacali. Del resto, in questi giorni, Coldiretti è arrivata a “minacciare” i propri iscritti di levare l’assistenza tecnico-legale per l’assegnazione dei fondi europei se non avessero lasciato il fronte della protesta. Girano file audio che lo dimostrano.

La prova di questo è che a palazzo Chigi mancavano proprio i protagonisti della protesta. Dunque una riunione dove si sono fatti i conti senza l’oste. Ecco perché le dichiarazioni alla fine dell’incontro hanno il sapore stantio di cose già note e della propaganda. Cristiano Fini (Cia) ha parlato di “proposte molto serie su cui dobbiamo però vigilare”.  In qualche modo ammicca ai trattori in strada: “Se lo stanno facendo è perché solo così si portano avanti risultati concreti e tangibili”. Anche Giovanni Bernardini, numero due di Copagri, “comprende” le ragioni della protesta: “Il governo deve intervenire sulla distribuzione del valore lungo la filiera. È la scarsa redditività per i singoli produttori che sta facendo saltare il tappo”. Già, la filiera, quel percorso per cui il produttore vende le zucchine, giusto per fare un esempio, a 50 centesimi e il cittadino le acquista a cinque euro. Ma la grande distribuzione è assente dai tavoli istituzionali di questi giorni. È il vero problema dei “trattori”: “Noi piccoli produttori sempre più poveri come i cittadini che vanno a fare la spesa”. Ed è per questo che la protesta viene applaudita lungo le strade.

 

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.