Per i giudici era malato grave e non poteva essere presente in udienza. Per il pm, invece, la malattia era immaginaria ed il certificato medico un tarocco. La “sorprendente” vicenda, anche se nel meraviglioso mondo della giustizia italiana ormai è sempre più difficile trovare qualcosa di cui stupirsi, è capitata lo scorso 24 marzo al Tribunale penale di Potenza. L’avvocato Antonio Murano, con studio a Rionero in Vulture, quella mattina aveva un processo davanti al collegio presieduto dal giudice Federico Sergi. La sera prima, però, Murano viene colpito da una fortissima colica al punto da richiedere l’intervento del medico.

Murano, non essendo in condizioni di presentarsi in aula per difendere il suo assistito, avvisa quindi un collega di sostituirlo, invitandolo anche a chiedere ai giudici un rinvio per legittimo impedimento. l giudici, sentite le giustificazioni del collega, accolgono la richiesta di Murano che non avrebbe causato problemi allo svolgimento del processo dal momento che il legittimo impedimento del difensore interrompe automaticamente il decorso della prescrizione. Murano, purtroppo, non aveva fatto i conti con il pm Giuseppe Borriello che aveva chiesto al collegio una verifica, non accolta, sulle sue condizioni di salute.

Alle 14 si presentava presso la casa dell’avvocato Murano un medico scortato da una pattuglia di carabinieri. Alla richiesta di spiegazioni, il medico rispondeva di dover effettuare una visita su mandato della Procura di Potenza. Murano, non avendo nulla da nascondere, accettava di farsi visitare. Quando pensava che fosse finita lì, con l’attestazione del non positivo stato di salute, Murano scopre di essere addirittura stato iscritto nel registro degli indagati della Procura lucana con l’accusa di “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità giudiziaria”, un reato punito con 6 anni di prigione. Come se non bastasse, la Procura di Potenza aveva disposto gli interrogatori a tappeto di tutti i suoi familiari, dal figlio al fratello, iniziando dall’anziana madre ultraottantenne.

Per non farsi mancare nulla, al medico curante che aveva redatto il certificato medico per l’indisposizione, veniva prima perquisito lo studio e poi, una volta tradotto nella caserma dei carabinieri, sequestrato il telefonino all’interno del quale erano contenute le app per certificare la fine della quarantena per i pazienti Covid. Ma l’incredibile giornata era ancora lunga. Alle otto di sera, infatti, un’altra pattuglia di carabinieri si recava nello studio di Murano per acquisire le immagini della video sorveglianza. Acquisizione che non aveva successo essendo le telecamere non funzionanti. L’avvocato Murano, scosso da quanto accaduto, il giorno dopo scriveva allora una lettera a tutti i vertici degli uffici giudiziari lucani, presidente della Corte d’appello e procuratore generale inclusi, ed al Consiglio superiore della magistratura.

«Il tribunale è l’ambiente di lavoro degli avvocati e dei magistrati: è compito di tutti agire nel principio di cordialità e reciproco rispetto che dovrebbe costituire la regola nel supremo interesse della giustizia», ha ricordato Murano. Immediatamente è scattata la solidarietà dei colleghi. «Non è concepibile in uno stato di diritto che si possa soltanto immaginare quanto è accaduto», ha detto l’avvocato Nino La Lumia del Movimento forense.