La mobilitazione del 27 febbraio
Le correnti tossiche sono centri di potere, ma la magistratura protesta contro la riforma: lo sciopero e i reali problemi dimenticati
I magistrati sono pronti alla mobilitazione, prevista il 27 febbraio, per opporsi alla separazione delle carriere. Dimenticano però che a minacciare davvero i princìpi di autonomia e indipendenza è l’affarismo correntizio

Una delle poche cose buone introdotte dalla riforma Cartabia del 2022 dell’Ordinamento giudiziario era la norma che non consentiva ai magistrati posti fuori ruolo, per ricoprire incarichi di stretta collaborazione con il ministro, di essere destinati immediatamente – una volta cessato l’incarico – a guidare una Procura o un altro ufficio giudiziario. Dovevano passare almeno tre anni dalla cessazione della funzione ministeriale. Un magistrato, oltre ad essere imparziale, dovrebbe anche apparirlo. E chi ha strettamente collaborato fino a ieri con un ministro, ovviamente, è sospettabile di qualche vicinanza politica con la parte che ha espresso, appunto, quel ministro. Inoltre si voleva evitare che l’incarico ministeriale fosse un trampolino di lancio per una brillante carriera all’ombra della politica.
L’elemento di merito del Csm…
Con il Milleproroghe approvato di recente alla Camera, la norma è “congelata” e si applicherà solo agli incarichi ministeriali assunti dopo il 31 agosto 2026. Dunque per ora abbiamo scherzato, in attesa di un’altra proroga che arriverà prima del 2026, o magari dell’abrogazione della norma. Nel frattempo il Consiglio superiore della magistratura ha approvato nel dicembre scorso il nuovo testo unico sulla dirigenza giudiziaria, che ha stabilito i criteri in base ai quali i magistrati sono scelti per guidare gli uffici giudiziari e ha (ineffabilmente) inserito come elemento di merito, idoneo a pesare enormemente sulla scelta finale, l’aver ricoperto incarichi di diretta collaborazione con il ministro della Giustizia. Pare incredibile, ma è proprio così.
L’affarismo correntizio dell’Anm
Mentre politica e magistratura si scontrano pubblicamente accusandosi reciprocamente di indebite invasioni di campo, rimangono immutate – come se nulla fosse – le relazioni, gli scambi, le concessioni reciproche e la comune gestione di un potere che ormai da tempo ha abbandonato ogni separazione. Intanto l’Associazione nazionale magistrati continua a essere dominata da un tossico “affarismo correntizio che soffoca ogni spinta autoriformista in seno all’Associazione”, come scritto dal Dott. Andrea Mirenda, componente togato (indipendente e dunque non espresso dal sistema delle correnti) del Consiglio superiore della magistratura, che impedisce alla stessa Associazione di “essere il primo cane da guardia di un opaco autogoverno che, troppo spesso, è il primo a genuflettere i magistrati”. Parole simili a quelle usate qualche tempo prima da un altro noto magistrato, il Dott. Nino Di Matteo, che – anch’egli da indipendente – ha svolto le funzioni di componente del Csm nella precedente consiliatura. E riferendosi alle correnti ha detto: “Sono diventate veri e propri centri di potere che pretendono di condizionare tutta la vita del magistrato”.
Lo sciopero e i reali problemi dimenticati
I magistrati (pochi, per il vero) che si aggirano da qualche giorno con coccarde tricolori appuntate sulle toghe e che si apprestano a scioperare il prossimo 27 febbraio contro la riforma costituzionale per la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, bene farebbero a occuparsi di questi temi, che incidono pesantemente sull’autonomia e sull’indipendenza della magistratura e che – al contempo – hanno portato in caduta libera la fiducia dei cittadini nel suo operato, anziché paventare inesistenti rischi di sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo.
Nell’articolo 104 della Costituzione resterà scritto: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Solo il potere opaco delle correnti – in mano agli stessi magistrati che le governano – è stato ed è in grado di indebolire tale presidio e di “genuflettere” tutti gli altri magistrati che lo subiscono. Non certo una riforma che mira a rafforzare il giudice e mantiene oggettivamente inalterate le garanzie di indipendenza riconosciute a tutto l’ordine giudiziario.
Rinaldo Romanelli – Segretario dell’Unione delle Camere Penali Italiane
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