L’incontro ci sarà, e bisognerà vedere se sarà intorno a un tavolo, su cui è più agevole poggiare le Smith & Wesson, o sui divani, in cui è più facile sfoggiare le reciproche ipocrisie. Fatto sta che, quando Giorgia Meloni, sabato sera scorso, ha accettato di corsa il subdolo invito del neo presidente del sindacato delle toghe Cesare Parodi, era sincera. E lo era anche il nuovo sindacalista. Ciascuno con il proprio retropensiero. La prima per andare a vedere le carte. L’altro per mostrare la faccia buona degli “spaventapasseri” che il 46% dei cittadini (contro il 39%), secondo l’ultimo sondaggio di YouTrend per SkyTg24, considera politicizzati. E con il 48% (contro il 31%) degli italiani favorevole alla separazione delle carriere tra giudici e requirenti.

Il “nostro pensiero”

Vogliamo solo far conoscere il nostro pensiero, ripete continuamente il procuratore aggiunto di Torino. Ma il rifiuto totale della riforma costituzionale, e di qualsiasi riforma in realtà, da parte della magistratura compatta, della corporazione intera, è più che noto. Non vogliono separarsi, non vogliono che venga completata la riforma del processo del 1989, quello che fu pudicamente definito “tendenzialmente” accusatorio. Per togliere quell’avverbio occorrerebbe proprio quella riforma che è all’ordine del giorno e che la Camera ha già approvato in prima lettura.

Cesare Parodi non è un estremista e neanche una “toga rossa”, e il fatto che il suo pensiero non sia disgiunto da quello del suo predecessore Giuseppe Santalucia e dai leader di Md come Stefano Musolino mostra in modo chiaro che cosa la categoria si aspetta dal Parlamento e dal governo: la retromarcia. Quella che i magistrati non intendono fare, neppure sullo sciopero fissato dalla precedente Giunta per il prossimo 27 febbraio. Un punto su cui lo stesso Parodi si è mostrato intransigente, quando nelle giornate congressuali aveva detto: “Noi non torniamo indietro su niente. Il discorso della trattativa non lo accetto, perché si tratta se qualcuno ha qualcosa da dare, noi non abbiamo niente da dare in cambio”.

Lo hanno ben capito i parlamentari di Forza Italia, nonostante all’interno della maggioranza si sia palesata una timida apertura da parte del senatore Alberto Balboni di FdI, sia con le parole roboanti del senatore Gasparri che con quelle del portavoce Raffaele Nevi. Il quale ha individuato nella chiusura sulla riforma costituzionale e la separazione delle carriere un atteggiamento di Parodi di totale chiusura, anche se manifestato con un tono più educato e meno arrogante di altri suoi colleghi. Senza dimenticare che abbiamo alle spalle lo sgarbo istituzionale delle inaugurazioni degli anni giudiziari, con le toghe che si allontanavano quando prendevano la parola gli esponenti del governo, spesso a loro volta magistrati.

Il pensiero delle toghe tra la gente

Così torniamo all’appuntamento con il governo e al problema tavolo-divano. Parodi, proprio come i suoi colleghi del sindacato, non è in grado di spiegare a nessuno, né al colto in materie giuridiche né all’inclito, per quale motivo l’arbitro dovrebbe stare a braccetto con il capitano di una delle due squadre. E, visto che proprio il neo-presidente dell’Anm ha manifestato l’intenzione di andare tra la gente a manifestare il pensiero delle toghe, provi a usare la parodia calcistica. Ma dovrà spiegare anche perché in tutto il mondo occidentale la separazione sia un dato di fatto e l’ordinamento italiano un’anomalia.

“Noi magistrati abbiamo il timore che la riforma della separazione delle carriere preluda, in un futuro, a un assoggettamento della funzione del pm all’esecutivo”, ha detto ancora ieri. Facile da spiegare ai cittadini, nella previsione del referendum confermativo che seguirà alle quattro votazioni delle due Camere, vero? Una suggestione, visto che nella legge non vi è nessun varco che possa aprire quella strada. E del resto è esplicitamente detto che la traccia di questa riforma è quella della legge del Portogallo, dove la norma funziona egregiamente da anni e nessun magistrato vi ha mai manifestato contro.

Quello che le toghe non hanno il coraggio di dire

Le toghe però dovrebbero avere il coraggio di dire quel che non possono. E cioè che la loro vera preoccupazione è la parte della riforma che riguarda il sorteggio delle cariche dei due Csm. Lì è il vero centro del potere, la possibilità di manovrare, attraverso il gioco delle correnti, che non è mai cambiato nonostante la denuncia di Luca Palamara, le nomine delle cariche apicali della magistratura. Le procure, soprattutto, centri del potere assoluto di vita e di morte sui cittadini. Ed è su quello che si potrebbe aprire una trattativa con il governo. Non sulla legge di riforma, che non può che essere ormai blindata e impermeabile a qualunque modifica, per via dei tempi e delle quattro letture parlamentari imposte dalla Costituzione. Ma nei decreti attuativi che dovranno rendere applicabile la norma.

È lì che si potrebbe aprire uno spiraglio sul sorteggio temperato da una preselezione da parte dei magistrati dei nomi da eleggere. Ipotesi rischiosa, visto quel che è successo in passato, dalla notte dell’Hotel Champagne in poi. Ecco perché, mentre turbolenze si manifestano a Perugia, dove si è aperto un delicato fascicolo che riguarda il procuratore Lo Voi, e all’Aja un altrettanto delicato sul governo italiano, a parte qualche sorriso ipocrita, non potrà esserci nulla di più tra Giorgia Meloni e Cesare Parodi. Né intorno a un tavolo né in salotto.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.