Con il decreto Ristori, pubblicato in Gazzetta Ufficiale due giorni fa, vedono il loro ingresso nell’era telematica del processo penale anche le indagini preliminari. Dopo i tentativi di introdurre il processo penale da remoto, ribaditi anche in questo provvedimento e che non trovano e non troveranno il favore dei penalisti in virtù dell’intangibilità del principio dell’oralità, cardine della formazione in contraddittorio della prova nel processo penale (per quanto concerne, dunque, la fase dibattimentale), si può accogliere con discreto apprezzamento quest’ultima novella.

Senza dubbio può essere considerata una rivoluzione la previsione del deposito di taluni atti, memorie difensive, documenti, richieste e istanze mediante i portali telematici delle Procure della Repubblica, così come l’aver conferito valore legale al deposito a mezzo posta elettronica certificata di atti diversi da quelli menzionati. In tal modo, non solo si riduce il rischio di contagio da Covid-19 grazie alla ridotta presenza di persone negli uffici giudiziari, ma si abbassano sensibilmente i costi, in termini di risorse economiche e personali, dei difensori.
La vera novità, però, è costituita dalla possibilità del compimento di taluni atti di indagine da remoto, i quali richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore (salvo che questi si opponga quando l’atto richiede la sua presenza), di consulenti o di esperti. Il decreto, quindi, prevede che tali soggetti possano essere ascoltati recandosi presso l’ufficio di polizia giudiziaria più vicino al luogo di residenza, sempre che quest’ultimo sia dotato della strumentazione idonea al compimento dell’atto anche in termini disegretezza di quest’ultimo; il difensore può partecipare telematicamente dal proprio studio oppure può decidere di presenziare dal sito in cui è presente il suo assistito.

Ciò che, dunque, appare teoricamente un vantaggio in termini di contenimento del contagio da Covid-19 (questa è la motivazione ufficiale, anche se le prospettazioni sono di periodo pre-pandemia), non si può non sollevare perplessità sul maggiore impiego di risorse. È noto agli addetti ai lavori, difatti, che nella maggior parte dei casi il pubblico ministero delega il compimento dei citati atti di indagine alla polizia giudiziaria presente nel proprio ufficio o a quella territorialmente competente; quest’ultima, poi, trasmette celermente l’atto alla Procura. Ebbene, se un interrogatorio deve essere svolto da remoto dalla polizia giudiziaria in organico alla Procura, e l’indagato o la persona offesa presenzia da remoto affiancato da altro organo di polizia, appare pacifico che le risorse impegnate saranno raddoppiate (e, quindi, i costi) per il conseguimento del medesimo scopo. Probabilmente, per tale motivo, sarebbe stato più utile prevedere che quanto meno l’interrogatorio della persona sottoposta a indagini fosse svolto presso lo studio del difensore. Questa e altre considerazioni, comunque, potrebbero vedersi concretizzate in sede di conversione del decreto Ristori in un testo legislativo più raffinato e adeguato ai casi concreti.