I quesiti del ministro
Lea, Lep e autonomia differenziata: Calderoli tra ‘essenziale’ e ‘normale’
“La questione più spinosa” cosi fu definita la Questione Meridionale. Come è noto, fu forte la delusione dei rappresentanti del Sud, che si batterono a lungo per inserire nel testo un esplicito impegno su strumenti più efficaci e strutturali da incardinare nell’ordinamento dello Stato.

La sottocommissione che ebbe il compito, nel 1947, di redigere, per l’Assemblea plenaria, gli articoli sulla finanza decentrata, trattò ampiamente le conseguenze legate al termine “essenziali”. L’articolo in questione era il 119, ex 16 ed ex 113, al Titolo V, che, per la prima volta, inserì il Mezzogiorno nel testo della Costituzione. Al terzo capoverso si leggeva: “Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali”. Questo fu deciso per dare una prima risposta al divario territoriale esistente nel Paese.
“La questione più spinosa” cosi fu definita la Questione Meridionale. Come è noto, fu forte la delusione dei rappresentanti del Sud, che si batterono a lungo per inserire nel testo un esplicito impegno su strumenti più efficaci e strutturali da incardinare nell’ordinamento dello Stato. Alla fine, si dovettero accontentare di una scelta che alcuni di loro definirono di tipo “assistenzialistico/paternalistico” e altri ne rimarcarono il contenuto esclusivamente solidaristico. Ma, sul termine, essenziali, si è consumata la più esplicita e chiara disputa tra i meridionalisti fautori del regionalismo. La bozza definitiva dell’art. 119 definì i limiti dell’intervento statale in favore delle Regioni povere “a quanto è necessario per consentire l’adempimento delle loro funzioni essenziali”.
Per la prima volta, compare il vocabolo “essenziali” con tutto il suo carico di ambiguità. Ciò non sfuggi a Mario Zotta, deputato all’Assemblea Costituente e componente della sottocommissione. Lucano di origine, successivamente ricoprì anche il ruolo di Ministro per la riforma della PA, meridionalista moderato e di buon senso. Chiese di intervenire nella discussione, cercando di attirare l’attenzione dei colleghi quando ormai si era giunti alla fine dei lavori preparatori. Esordiva con queste parole, riportate nei resoconti di quel periodo: “Ma, onorevoli colleghi, non basta dire per adempiere alle loro funzioni essenziali, io temo che domani per una pedantesca interpretazione, si possa pensare soltanto alla continuazione della vita. La vita indigente, senza risorse, è pur sempre infatti una vita!”.
Quello di giustapporre i livelli essenziali alla vita indigente fu un esempio semplice, quanto straordinariamente efficace, e nello stesso tempo drammatico. Per fare qualche esempio concreto: quanti asili nido sono essenziali per numero di bambini? Sicuramente molti di meno di quelli che si determinano con normali o standard; oppure di quanti ospedali c’è bisogno per soddisfare i bisogni sanitari essenziali? E quanti invece per un regime di cura normale e uniforme sull’intero territorio nazionale? I numeri degli uni e degli altri sono molto diversi. Zotta concluse, infine, proponendo l’abolizione del termine “essenziali”. Ripresero i lavori e, dopo una lunga trattativa, fu sostituito con l’espressione “funzioni normali”. Il testo dell’art.119 fu approvato con questa piccola, ma profonda modifica. Fu un risultato di grande rilevanza, benché avesse ad oggetto una sola parola. Si evitò, così, di sancire nella Carta il divario territoriale come ineluttabile.
Il termine “essenziale”, rimosso opportunamente dalla Costituzione, ritorna nella revisione del 2001, all’art.117, con la dicitura “funzioni essenziali”, questa volta attribuite allo Stato. Termine innovato nel lessico, ma sempre carico di tutta l’ambiguità denunciata dal Costituente Mario Zotta. Ecco perché oggi, dopo lunghi anni, si è ancora fermi sulla difficoltà di definire, a regime, i Lea e i Lep.
Rimangono alcune domande: essenziale quanto è lontano da normale? Dove fissare l’asticella per definire risorse e standard adeguati a un giusto e sostenibile riequilibrio territoriale? Quanto più i Lep e i Lea – sono 223 i Lep individuali dal comitato Clep guidato da Cassese – si avvicineranno ai livelli normali, i fabbisogni standard saranno coperti da risorse economiche sufficienti? Questi sono i quesiti che oggi tormentano il Ministro Calderoli, e gli altri prima di lui. Dietro queste domande c’è, forse, la risposta alla irrisolta questione meridionale e alla mancata realizzazione del Regionalismo Differenziato.
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