La data è quella del prossimo 8 novembre. Ci saranno per quel giorno un Parlamento nelle sue piene funzioni, con ufficio di presidenza e commissioni al loro posto, e un Governo già formato pronti a deliberare, oppure saremo di nuovo nelle mani della Corte Costituzionale per decidere sull’ergastolo ostativo? La questione è politica, ma soprattutto di giustizia. E sarebbe scandaloso se la Consulta concedesse al Parlamento l’ennesima proroga, dopo un anno e mezzo. Per ora si è solo vista l’incapacità delle Camere di produrre un testo decente, che fosse in linea con il mandato della Consulta. Che aveva definito incostituzionale quella norma che a partire dal 1992 aveva creato il doppio binario tra detenuti, escludendo dai benefici penitenziari previsti dalla legge i condannati per fatti di mafia o terrorismo.

Ci sono nelle carceri italiane poco più di 1.200 ergastolani che attendono, dopo oltre 26 anni di carcere, di poter accedere alla liberazione anticipata, come ha stabilito la Corte costituzionale dopo aver sancito che la norma che lo vieta ai non “pentiti” è fuori legge perché viola gli articoli 3 e 27 della nostra Carta. Ma la Consulta, dopo aver sancito il principio, ha passato la palla al Parlamento, dando un anno di tempo perché legiferasse in modo conforme. Ma non era bastato, se non per produrre una leggicchia votata alla Camera, che nei fatti poneva tanti ostacoli e inversioni dell’onere della prova al detenuto, da esser resa pressoché inapplicabile. E la commissione giustizia aveva anche dovuto subire lo spettacolo indecente della sfilata di toghe ed ex toghe che, in nome della militanza “antimafia”, avevano remato contro qualsiasi proposta riformatrice. Usciranno tutti i boss, ricominceranno le stragi, avevano gridato, con l’accompagnamento quotidiano degli articoli del Fatto. Solo i deputati di Italia Viva si erano poi astenuti per l’indecenza della norma nel voto finale, e altrettanto avevano fatto i parlamentari di Fratelli d’Italia, forse per ragioni opposte.

Il deputato di Più Europa Riccardo Magi (anche lui astenuto) aveva invano fatto anche un tentativo per far modificare almeno quella vergogna della legge voluta dal ministro Bonafede, chiamata “spazzacorrotti”, che equiparava i reati contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia. I grillini sotto braccio agli uomini del Pd avevano condotto le danze della piccola vergogna. La leggicchia fuori legge approdava così al Senato, dopo aver calpestato senza pudore il verdetto della Corte di Strasburgo che nel 2019 con la famosa “sentenza Viola” aveva condannato l’Italia proprio per gli stessi motivi che verranno poi ripresi dalla Corte Costituzionale. La quale ha proprio mancato di coraggio, mettendo principi fondamentali come l’uguaglianza dei cittadini e la funzione rieducativa della pena nelle mani di un’assemblea legislativa la cui maggioranza, formatasi nelle elezioni del 2018, era di quel partito che ogni giorno propagandava, tramite il suo vero leader Marco Travaglio, la necessità di chiudere a doppio mandato le carceri. Altro che riforme! Come si fa a chiedere al detenuto che ha già dimostrato con il percorso rieducativo quotidiano, certificato dagli operatori del carcere e dai giudici di sorveglianza, ulteriori prove diaboliche? Dimostrare di aver rescisso i rapporti con la criminalità organizzata, per esempio, e magari aver risarcito le vittime, anche quando non si hanno possibilità economiche. Ma anche l’inversione dell’onere della prova è illegale, in diritto. Lo sanno, i nostri parlamentari?

Comunque, venendo a questi giorni, è fallito il tentativo del Movimento cinque stelle di portare a casa, negli ultimi momenti della legislatura, l’ergastolo ostativo di loro gradimento, perché anche il Pd a questo punto li ha abbandonati. Troppo occupato Enrico Letta a studiare il modo di fare cadere il prossimo governo non appena formato. E di continuare a governare senza aver vinto le elezioni. Così quella norma fuori legge del doppio binario già bocciata dalla Consulta e riproposta quasi uguale, a quest’ultima viene riconsegnata sotto forma di patata bollente. E speriamo che i giudici non la lascino cadere di nuovo a terra e che la questione sia messa all’ordine del giorno a partire dall’8 novembre, la data entro la quale, di proroga in proroga, il Parlamento avrebbe dovuto legiferare per rendere conforme alla Costituzione e ai principi della Cedu la norma che dal 1992 è fuori legge. Ma i tempi che occorreranno perché il Parlamento funzioni a pieno ritmo e le commissioni inizino la produzione legislativa, e perché esista un governo che ottenga la fiducia, non saranno brevissimi. E non ci sarà “trascinamento” di leggi semi-approvate da una legislatura all’altra. Tra l’altro anche la Corte Costituzionale vivrà un suo momento elettorale. Perché il suo Presidente Giuliano Amato presiederà per l’ultima volta la Corte il prossimo 13 settembre, data nella quale ci si aspetta un suo grande discorso di commiato.

Difficile che parli dell’ergastolo ostativo, prima di lasciare il campo a un successore, il giorno 19. Spetterà a quel punto al Capo dello Stato indicare un nuovo membro della Corte. E poi, solo una volta che sarà ricostruito il plenum, ci si porrà il problema del nuovo Presidente. Che potrebbe essere una donna, per la seconda volta dopo quella di Marta Cartabia del 2019. E’ prassi che al vertice della Consulta venga chiamato il giudice più anziano per carriera. In questo caso in pole position sono addirittura in tre, di cui due donne: Daria De Petris e Nicolò Zanon che furono indicati nel 2014 da Giorgio Napolitano, e Silvana Sciarra scelta, nello stesso anno, dal Parlamento. Anche queste sono scelte politiche, non fingiamo che non sia così. E l’8 novembre questi giudici avranno l’onere, se non mancherà loro il coraggio, di mettere la parola fine sull’ergastolo ostativo, cancellando d’imperio la norma incostituzionale. E ridando la vita non a terroristi o mafiosi, ma a persone ormai lontane dal loro passato.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.