C’è chi sogna il figlio cantante, calciatore, imprenditore, influencer o dottore. Chi vuole che segua le sue orme o che vada più lontano. Chi si rifugia nella speranza che sia felice, senza mai chiedersi cosa sia davvero la felicità. Io no. Io voglio che i miei figli, Alice (12 anni) e Francesco (8), siano riformisti. Poi facciano il lavoro che vogliono, amino chi desiderano, tifino persino la Lazio o (peggio) la Roma che per me che sono della Juventus è una piccola tragedia domestica. Che siano vegani o ascoltino La Zanzara (ma speriamo che almeno non telefonino mai, però).

Essere riformisti è disposizione dell’anima

Posso accettare tutto, ma che siano menefreghisti o qualunquisti questo proprio no! Alice e Francesco, questo dispiacere non datemelo. Lo scrivo su queste pagine, nella speranza di non essere il solo a pensarla così. Riformismo non è un’ideologia (magari lo fosse: si smetterebbe almeno di pensare per un po’). Non è una posizione politica (altrimenti avremmo una casa dove stare o almeno un indirizzo dove andare). Essere riformisti è una disposizione dell’anima. Significa non accettare la mediocrità solo perché è comoda. Vedere il mondo non per quello che è, ma per quello che potrebbe essere. È sapere che ti diranno sempre che non è abbastanza, che si poteva fare meglio, che non cambierà nulla. Ma tu, testardo, vai avanti lo stesso.

Il riformismo è realismo che non si arrende a realtà

Un riformista non grida, costruisce. Non si accontenta, migliora. È un sognatore pragmatico. Torna a casa contento di aver fatto un passo avanti e, se non ci è riuscito, si gode almeno la soddisfazione di non essere arretrato. Che pure Lao Tze si sarà fermato a fare pipì o ad allacciarsi le scarpe. Il riformista, davanti a un problema, non si lamenta: cerca soluzioni. Dopotutto, il riformismo è il realismo che non si arrende alla realtà. Ma ascolta chi si lamenta, perché ogni voce porta con sé un pezzo di verità. Riformista è chi tenta, sapendo di poter fallire (e la sfiga riformista non ci perde mai d’occhio). Ai miei figli voglio insegnare il dubbio, non le certezze. Il pensiero critico, non il dogma. Voglio che imparino a vivere nel paradosso di due verità: che “si può sempre fare meglio”, ma che “il meglio è nemico del bene”.

Fate tante cazzate ma fatele bene

So che sbaglieranno. Anzi, spero che sbaglino. Perché significherà che avranno provato. Fate tante cazzate, figli miei. Tanto il sole sorgerà comunque il giorno dopo. Ma fatele bene. Sbagliate con convinzione, poi ricredetevi. Ma non per opportunismo. Fatelo perché, come diceva Nietzsche, la verità è che la verità cambia. Prendetevi cura di qualcosa. Non importa cosa. Prendersi cura è un mezzo, non un fine. È l’unico modo per capire gli altri e, alla fine, anche se stessi. I riformisti si riconoscono da questo: si prendono sempre cura di qualcosa o qualcuno. All’inclusione delle parole, preferite sempre quella dell’azione. Ma, se sarete riformisti, preparatevi all’amarezza. Ogni scelta peserà. Il dissenso sarà inevitabile. Non si accontenta mai tutti. Abbiate modelli altissimi. I più grandi della storia. Citateli a memoria. Poi metteteli da parte e scoprirete la grandezza dell’uomo comune, non dell’uomo qualunque. Cercatevi un maestro che vi insegni che la vita è mediazione, accelerare e frenare, sogno e compromesso. Lo scoprirete: il riformismo è pieno di maestri di metodo e pochi allievi di merito.

Vi diranno che viviamo nel migliore dei mondi possibili o che è tutto da buttare. Le endorfine vi convinceranno che è bello fregarsene, che è ancora più bello lamentarsi. Ma voi sorridete. Ricordatevi quello che vi diceva papà. Usate le mie parole come Ulisse usava i tappi di cera contro il canto delle sirene. E andate avanti. La vita è solo vita. Fatene un capolavoro. È solo un gioco. Allenatevi prima della partita. In campo, costruite l’azione, passate la palla e, quando pensate di poter fare goal, tirate forte! Anche se avete sbagliato un minuto prima. A fine partita, uscite dal campo sudati e sporchi di fango. Fate il tifo per la squadra. Se il goal lo farà un altro, correte ad abbracciarlo e non dimenticate di consolare il portiere, che sia il vostro o quello avversario. Ma se state in panchina, sorridete. Niente musi lunghi. E tenetevi pronti a entrare. Alice, Francesco, a papà! Per favore, non datemi mai questo dispiacere: non smettete mai di essere riformisti.