Non è più casa comune
L’Europa che non piace e quella delle Nazioni. Tra il sentire popolare e le alchimie dei tecnocrati a mancare è il senso d’appartenenza

Al di là dello stucchevole dibattito, nostrano e non solo, sul derby Ventotene sì-Ventotene no, riarmo sì-riarmo no, pace sì-pace no, c’è un tema che viene evitato come la peste da molti commentatori e che, invece, è forse il vero vulnus di questi discorsi. La domanda è semplice: sentiamo ancora un’appartenenza a questa Europa oltre la retorica che colora piazze e sventolii di bandiere dal blu stellato? La risposta non è solo per i sofismi degli analisti ma interpella, o dovrebbe, prima di tutto, i cittadini, le persone. L’appartenenza appunto, e a cosa? A quale idea di Europa?
Le due visioni
La polemica sul Manifesto di Ventotene non è ovviamente solo partitica, ma racchiude due visioni dell’Occidente che si stanno sempre più polarizzando e che, forse, necessiterebbero di ritrovare un punto comune di confronto. Il primo fatto è indiscutibile, quasi ovvio per chi viaggia in lungo e in largo per il nostro continente: c’è un sentire comune, un sentirsi europei, che nei decenni si è consolidato e rafforzato, proprio grazie alla mobilità, agli scambi, alla comunicazione globale e nonostante l’Europa, intesa come costruzione politica dei palazzi brussellesi. Nonostante, va ribadito, perché la forbice – diventata sideralmente ampia – tra il sentire popolare e le alchimie burocratiche dei tecnocrati è stata un ostacolo alla formazione di una vera Europa comune, invece che un’occasione di coesione. E sempre di più è percepita oggi con crescente insofferenza in molti dei Paesi dell’Unione.
L’Europa che non piace e quella delle Nazioni
Lo scontro surreale in Parlamento su Ventotene e il crescente consenso di Afd in Germania sono solo due esempi di questo sentire. Che ha ovviamente motivazioni e prospettive differenti, ma che è accomunato da un messaggio preciso: questa forma di Europa non ci piace, non ci interessa. E che riporta in modo sempre più deciso alla ribalta un’altra formula, che molti cittadini sentono più possibile, più vicina, meno artefatta e che si può tradurre in “Europa delle nazioni”. Sarebbe troppo semplice, e forse funzionale a riempire una piazza, derubricare questo sentire come un ritorno dello spirito reazionario. Ma questa analisi superficiale non tiene conto di un’appartenenza che è profonda e consolidata ma che chiede, proprio per questa ragione, una voce diversa. La prudenza e i distinguo sull’ipotetico esercito europeo sono, oltre all’aspetto politico, un altro sintomo di questo sentire e, ancora una volta, rispondono a una richiesta: fateci capire quale idea di Europa hanno i cosiddetti “volenterosi”, prima di correre a capofitto, armi e bagagli, è il caso di dirlo, in aiuto dell’Ucraina. I sondaggi peraltro hanno rivelato una certa freddezza negli italiani rispetto a questa missione. E non certo per mancanza di empatia verso la tragedia ucraina. Ma, appunto, perché latita una prospettiva chiara che restituisca un senso di appartenenza. E, di certo, di fronte alle roboanti dichiarazioni di molti leader europei in mimetica ed elmetto, in tanti fanno spallucce. Solo la Germania si è buttata a capofitto in una spesa senza fondo per il riarmo. E memoria dovrebbe insegnare che questo non è mai stato un bel segnale per l’Europa.
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