Or sono quasi 6 anni scrissi delle difficoltà della transizione energetica a fronte del cortotermismo (neologismo horribilis) della politica; e anche del dubbio che la forma democratica occidentale potesse sopravvivere a una transizione energetica.

In un recente e provocativo editoriale (“Occidente alla prova”) Claudio Velardi ha qui espresso gli stessi timori in relazione al rapporto tra democrazia e innovazione. Le innovazioni tecnologiche maturano in decenni; e i cicli della democrazia rappresentativa a dir tanto in 5 anni. Con la conseguenza che i governi privilegiano a fini elettorali impiegare le risorse per interventi immediatamente generatori di consenso (welfare e quant’altro) piuttosto che investirle in programmi di lungo periodo.

Gli Stati Uniti per loro forza economica sembrerebbero meno necessitanti di pensiero lungo; e però a loro volta e giusto per fare d’esempio mandano a raffinare le proprie terre rare in Cina (!) perché ad oggi non hanno destinato “strategicamente” risorse allo sviluppo di capacità di raffinazione propria. Xi Jinping può pensare lungo; Trump può parzialmente farne a meno; e Giorgia Meloni (come qualunque altro premier europeo) è condannata al pensiero breve. La capacità di decidere delle democrazie occidentali sembra farsi inversamente proporzionale al crescere della complessità delle nostre relazioni e delle tecnologie che le muovono.

La potenziale crisi della democrazia potrebbe avere epicentro europeo. In Europa siamo nel morso di una tenaglia. Siamo stretti da un lato dal fallimento della forma istituzionale che via UE ci siamo dati e della sua tendenziale irriformabilità a fronte dei vincoli politici e costituzionali dei Paesi Membri; e dall’altro dalla scoperta che size matters, e che gli Stati sovrani discendenti da Vestfalia se restano tali non possono individualmente competere con i due Grandi ma solo scegliere di chi farsi valvassini. La crisi fino a oggi è stata almeno in parte contenuta dall’Amico Americano. La difesa la pagava in parte lui e il surplus a nostro favore della bilancia commerciale era garantito. Poi è arrivato Trump. Vuole che ci paghiamo la nostra difesa; vuole via dazi equilibrio della bilancia dei pagamenti; e tra le varie amenità che ci ha gridato addosso c’è pure l’annuncio del decadentismo della nostra presunta forma democratica e dei nostri altrettanto presunti valori.

Con gli Stati Uniti in versione Amico Americano ciascun europeo si sentiva parte di un unico Occidente. Con Trump abbiamo improvvisamente scoperto (ma lo eravamo già da tempo) di essere in realtà figli di un Occidente minore. C’è il rischio che il panico che ne consegue ci porti alla fuga in ordine sovranamente sparso; e magari che qualcuno cominci a considerare che se la difesa ce la dobbiamo pagare da soli e però non abbiamo i soldi per difenderci forse l’unico scudo che può proteggerci dal russo stia nel cercare di mettersi sotto l’ombrello cinese. Qualcuno magari continuerà a navigare l’Atlantico; e qualcun altro si incamminerà sulla Via della Seta.

Può l’innovazione farsi strumento che ci aiuta a stare assieme ed essere oggetto di pensiero lungo? Tenderei a dire che entrambi sono (ancora) possibili; ma solo se vi si assume una dimensione europea e una diversa forma istituzionale; e sono in questo d’accordo con Velardi sulla necessità che di questo investire sia guida un organismo indipendente affetto per risorse e durata da salutare lungotermismo. Chiamatelo, se volete, un’Agenzia. Non vi è, nell’orizzonte noto, possibilità di Unione politica. Possiamo però provarci a pensare a modelli di cooperazione europea che prendano la forma di organismi indipendenti di settore. Non vale solo per l’innovazione; ma in prospettiva per molto altro.

Ha senso, giusto per esemplificare, che i singoli Stati si facciano concorrenza tra loro per l’approvvigionamento di minerali critici? O non avrebbe più senso una sorta di Acquirente Unico? Concentrare in un organismo autonomo delle competenze di settore ci darebbe più peso di mercato e anche ci aiuterebbe a stare assieme. In prospettiva la democrazia ce la difende meglio un’Agenzia europea che non le istituzioni dell’oggi; e l’investire congiuntamente in innovazione e altro può aiutare a prevenire le fughe in ordine sparso. Se l’Europa politica si fa Godot, quella amministrativa potrebbe farsi ricostituente.

Massimo Nicolazzi

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